Sono ben 450 in Lombardia gli enti associati a Uneba (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale), senza scopo di lucro e di ispirazione cristiana come il Molina di Varese, la Sacra Famiglia e Don Gnocchi, la Casa di Dio a Brescia, la Fondazione Mazzali a Mantova, l’Istituto Vismara di San Bassano nel cremonese, le Opere Pie di Codogno nel lodigiano… Sono fondazioni, associazioni, cooperative e congregazioni religiose che operano nei settori dell’assistenza sociosanitaria, della beneficienza e della filantropia a favore di anziani, disabili, minori e adulti.
«Non devono essere ripensati – assicura Luca Degani, presidente Uneba Lombardia, che ha partecipato al convegno indetto dalla Conferenza episcopale lombarda sul futuro del sistema sanitario post pandemia -. Non devono essere ripensati perché hanno la capacità di presa in carico delle persone del proprio territorio, e questo deve essere valorizzato e compreso meglio».
Quali servizi offrono i vostri enti?
Una parte significativa comprende Rsa, Adi (Assistenza domiciliare integrata) e centri diurni. Poi c’è una componente minoritaria che gestisce servizi per la disabilità (residenziale, diurna e domiciliare); infine l’assistenza ai minori è svolta attraverso comunità alloggio e servizi sul territorio. Aggiungo che una decina di enti si occupano invece dell’aiuto alla cosiddetta povertà estrema, per la quale utilizzano il know-how anche di altri enti associati per prestazioni specifiche come la riabilitazione dell’anziano non autosufficiente, ma senza fissa dimora. L’idea è di creare anche una rete di sinergie di questo mondo non profit – sia religioso-ospedaliero, sia sociosanitario – che risponda alla tutela del bisogno di salute, passando dalla acuzie alla cronicità dei servizi ospedalieri, ai servizi territoriali. Il mondo di ispirazione cristiana ritiene di avere una capacità di presa in carico della persona non solo nel momento della malattia acuta, ma anche di tutto il percorso di cura con un’attenzione anche agli aspetti più di natura relazionale, socio-assistenziale. L’ipotesi è di trasformare gli enti che erogavano servizi esclusivamente alla popolazione anziana presso strutture residenziali, in enti capaci di essere multiservizi su tutta la popolazione, che ha un bisogno di salute ormai prevalentemente di natura cronica.
Quindi cosa chiedete oggi alle istituzioni?
Credo che in questo momento il tema vero sia distinguere il momento legislativo dal momento programmatorio. È necessario che venga fatta una legge regionale che abbia la possibilità di costruire servizi e azioni di finanziamento adeguato a una nuova sanità e a un nuovo sistema sociosanitario lombardo, ma anche italiano. Noi abbiamo una Legge regionale 23/2015 che in questo momento è oggetto di revisione e deve partire dall’idea che l’erogazione di servizi è data da tre possibili attori: il pubblico, il privato, il privato senza scopo di lucro. Ognuno di loro ha peculiarità proprie. Il non-profit deve essere valorizzato, anche nell’ottica del finanziamento in conto capitale e nella revisione del sistema dei servizi.
Nello specifico cosa occorre fare?
Probabilmente c’è bisogno di partire dall’idea che abbiamo ancora un sistema sanitario molto concentrato nell’ottica ospedaliera, strutturato alla fine degli anni Settanta quando la popolazione dal punto di vista demografico aveva una distribuzione per classi di età molto più giovane di quella attuale. Inoltre la popolazione aveva un rapporto col bisogno di salute che passava soprattutto dalla presa in carico del momento acuto, la cui risposta non era solo il servizio ospedaliero, ma anche il rapporto con il farmaco. Quello che è successo negli anni, ed è sicuramente un bene, è che negli ultimi decenni si sono cronicizzate moltissime patologie che una volta erano acute: pensiamo al diabete, alle malattie pneumologiche o cardiologiche. Da questo punto di vista oggi non solo abbiamo una popolazione molto più anziana, ma abbiamo una popolazione su cui alcuni cardini della tutela della salute passano sulla continuità dei percorsi di cura, per esempio il tema della cosiddetta «aderenza terapeutica», che vuol dire controllare che una persona prenda quel farmaco in maniera appropriata, faccia esami diagnostici in maniera cadenzata nel tempo… Da questo punto di vista occorre quindi costruire l’infrastrutturazione legislativa affinché ci sia una programmazione triennale destinando risorse che non siano di investimento ma di spesa corrente.