Nella consapevolezza che tutto il mondo è il campo della semina, con la sua nuova Lettera pastorale l’Arcivescovo ci esorta a scavare in profondità.
Per educarsi al pensiero di Cristo ci si sente innanzitutto conosciuti nell’intimo da lui, come accade a Pietro e ai discepoli. Il primo movimento profondo riguarda la questione seria dell’interiorità educata. Raccogliamo questa sfida nell’epoca delle grandi dispersioni, dove da un lato emozioni intense e dall’altro pensieri articolati e pieni di informazioni – siamo nell’era della notizia sempre pronta! – sembrano prendere strade divergenti nella vita individuale di persone per lo più indaffarate e disorientate. «Gesù diventa il centro affettivo della persona. «L’incontro con Gesù per il credente è la sorgente di un nuovo modo di pensare gli affetti, il lavoro, il riposo e la festa, l’educazione, il dolore, la vita e la morte, il male e la giustizia», scrive l’Arcivescovo. Sentiamo un bisogno intenso di percorsi educativi e di esperienze significative che ci portino a riscoprire il cuore e il significato di tutto ciò che viviamo. Ogni parte dell’esistenza, dalla nostra intimità fino alle dinamiche mondiali, ha senso se ricollocata in un “centro affettivo”, il cuore dei significati e delle motivazioni radicali.
L’Arcivescovo descrive poi la capacità del cristiano che, sulle orme di Pietro, sa «trovare in Cristo il criterio per valutare ogni cosa approfondendo l’unità della persona». Ecco la seconda grande sfida del credere oggi nella contemporaneità: costruire un giudizio sulla vita e sulla realtà che nasca dall’unità profonda e non dalla superficialità delle impressioni o dei commenti ripetitivi incentrati su moda e slogan. Il giudizio sull’oggi e sulle scelte è un atto di amore per il nostro tempo, una pratica della carità che nasce da una fede convinta. L’atteggiamento giudicante e lamentoso si differenzia non poco dalla capacità di giudizio, che invece è frutto di una severa educazione del pensiero. Il giudizio più credibile e fruttuoso nasce dai percorsi, dalle maturazioni lente e graduali, da una dinamica di cambiamento continuo. Pietro, ci ricorda l’Arcivescovo, fa l’esperienza di un cammino progressivo nel quale non mancano le incomprensioni, le resistenze a lasciarsi salvare, i dialoghi forti come quello vissuto di fronte al Signore che per tre volte gli ha chiesto: «Mi ami tu?».
Dalla meditazione della Lettera colgo poi l’urgenza di una terza sfida che riguarda il nostro atteggiamento nei confronti del mondo. «L’incontro con Cristo spalanca ad ogni altro incontro e rende capaci di affrontare ogni situazione secondo questa nuova mentalità che scaturisce da lui». Avverto il fascino di una proposta cristiana che tende a formare donne e uomini aperti al contesto, non impauriti, non settari. Direi che ci è chiesto di convertirci continuamente da una logica spaventata di minoranza alla fermezza di un dialogo che non è mai un gioco di forza, ma il trionfo della tenerezza e dell’ascolto. La “mentalità” del Vangelo non è durezza. È la forza dell’accoglienza. Tuttavia non comprendiamo questo atteggiamento di dialogo in una cornice edulcorata: la lettera del Cardinale parte e termina con un riferimento intenso alla Chiesa perseguitata, ai luoghi del mondo dove i cristiani pagano un prezzo altissimo per vivere la loro fedeltà al tempo, alla storia, al territorio, all’altro.
L’ultima importante sfida alla quale mi sento sollecitata dalla Lettera riguarda la discontinuità dell’esperienza del cristiano rispetto al mondo. Come nella famosa pagina della lettera a Diogneto, il cristiano si sente pienamente nel mondo, ma sa di non possedergli del tutto. «Non ci si può conformare al mondo quando propone schemi distruttivi nei confronti delle singole persone, della famiglia umana e della stessa creazione», scrive l’Arcivescovo. Ci è chiesto il coraggio della testimonianza, nella convinzione che si tratta della strada più alta e diretta per promuovere cultura.
Mi ripromettto di tornare a leggere la lettera e a cogliere le indicazioni che sono offerte al cammino della Diocesi. Assumo con gioia l’indicazione di «pensare e sentire insieme» come strada maestra per educarsi al pensiero di Cristo ed educare altri a farlo, come forma concreta di ogni esperienza associativa e comunitaria alle quale siamo chiamati.