L’arrivo delle vacanze esprime il concretizzarsi della possibilità di sospendere la frenesia della vita ordinaria per abbandonarsi a un tempo straordinario, perché più disteso, libero e vuoto dai vari impegni di lavoro, di studio, ecc… Così, spesso, il vacare dei giorni estivi si mostra come il rovescio del troppo pieno che costituisce la normalità dell’esistenza. In ciò sta il gusto ambiguo, finanche amaro, delle vacanze: «Ah, se fosse possibile godere di un ritmo più riposante, ordinato, equilibrato durante il resto dell’anno… per non arrivare alle vacanze esauriti!».
Credo che la grande e la diffusa tentazione odierna stia nella tendenza al consumo generalizzato delle risorse che ci coinvolge e che ingenera in ciascuno una stanchezza che spesso sconfina nell’esaurimento. Come facilmente esercitiamo in modo poco consapevole un atteggiamento predatorio nei confronti della natura, più radicalmente, perché più intimamente, avvertiamo che noi stessi siamo consumati dai ritmi di vita che viviamo. Questo avviene in molti ambienti sociali e perfino familiari e può accadere anche in monastero. Ma di che stanchezza si tratta? È solo fisica oppure è una stanchezza che investe anche la dimensione emotiva e spirituale?
Nel Prologo della Regola di Benedetto c’è un passaggio significativo che riguarda proprio il tema del riposo: «Interroghiamo il Signore con le parole del Profeta: “Signore, chi abiterà nella tua tenda e chi riposerà sul tuo santo monte?” (…) Vi giungerà colui che cammina senza macchia e opera la giustizia (e prosegue menzionando alcune opere di carità verso il prossimo tratte dal Salmo 14,2-3); colui che, tentato dal maligno, cioè dal diavolo, lo respinge lontano (cioè, che non si lascia sedurre dalle false promesse del male, ma si pone sotto la custodia di Cristo); vi giungeranno coloro che, temendo il Signore, non diventano superbi con la propria osservanza, ma anche il bene che riconoscono in sé lo ritengono dovuto al Signore, non al proprio merito, e per questo magnificano il Signore che opera in loro» (cfr. RB Prol 23-30).
Da questo passaggio della Regola possiamo ricavare un insegnamento decisivo: il riposo – soprattutto spirituale, ma non solamente – ha a che fare con la fede nel Signore e trova la sua consistenza nell’umiltà di riconoscere che è innanzitutto Dio a operare il bene, in noi e attraverso di noi. Di conseguenza, è possibile ritenere che gran parte della nostra stanchezza abbia la sua origine nell’aver posto narcisisticamente il nostro ego al centro dell’universo, come se tutto dipendesse da noi. È spesso da qui che scaturiscono sofferenze, preoccupazioni, oppressioni e addirittura disperazione.
Ecco allora che pare opportuno ricordarci, vicendevolmente e quotidianamente, una frase apparentemente scherzosa, ma che rivela una importante verità: «Dio c’è, ma non sei tu. Rilassati».