Dove sta andando la vita consacrata? Quale il senso della sua presenza nella Chiesa e nella società plurale? Nella recente giornata di studio promossa dal Centro Studi di Spiritualità della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (14 gennaio) sono emerse indicazioni importanti.
Comunione e coessenzialità le due parole-chiave proposte da monsignor José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per la Vita Consacrata. Fuoriuscire dalla tentazione sterile dell’autoreferenzialità, riconoscere la comunione come dono che ci precede sempre: queste le condizioni richieste per essere, come consacrati e consacrate, realmente «dono fatto alla Chiesa». Un dono non facoltativ,o ma coessenziale alla missione di portare a tutti il Vangelo.
Inutile però nascondersi le fatiche reali che gli Istituti stanno attraversando: tempo di transizione o di crisi? Questa la domanda del presidente della Cism lombarda, il salesiano Claudio Cacioli. Entrambi, ha replicato monsignor Carballo. Siamo in un tempo di travaglio, poiché sta nascendo qualcosa di nuovo. Vi sono segni importanti da riconoscere, come le collaborazioni intercongregazionali per il servizio alla Chiesa particolare, ha ricordato madre Paola Paganoni, presidente della Usmi lombarda. Sono segni di condivisione reale tra carismi nella Chiesa. Ai lamenti per le vicendevoli incomprensioni – gli Istituti non si sentono capiti nella fatica di dover ripensare le opere e la Chiesa particolare rimane amaramente sorpresa per le dismissioni di opere importanti di religiosi (scuole, ospedali, ecc) senza un cammino comune di discernimento – è tempo di rispondere con il binomio conoscenza e collaborazione. Cooperare presuppone conoscenza e stima. Occorre incrementare percorsi di conoscenza della vita consacrata, nelle sue forme diversificate, per una piena integrazione nella vita della Chiesa particolare. Consacrati e consacrate sono portatori di carismi originari; non sono manovalanza a buon mercato da impiegare al bisogno.
Da questa comunione nasce un nuovo compito: mostrare il “nuovo umanesimo” che fiorisce dalla sequela di Cristo. Intercettare così l’umano comune, riscoprendo la profonda armonia tra la consacrazione e la secolarità, ha ribadito Maria Rosa Zamboni a nome degli Istituti secolari. Infatti, siamo figli di un Dio incarnato; la vocazione autentica non congeda dalla storia, ma vive della passione per l’umano, collocandosi al cuore della missione della Chiesa per il mondo. Decisive rimangono a questo proposito le parole del Concilio Vaticano II: «Né pensi alcuno che i religiosi con la loro consacrazione diventino estranei agli uomini o inutili nella città terrestre», al contrario tengono tutti «presenti in modo più profondo con la tenerezza di Cristo», impegnandosi perché «l’edificazione della città terrena sia sempre fondata nel Signore, e a lui diretta, né avvenga che lavorino invano quelli che la stanno edificando» (Lumen Gentium 46).