«Quando è scattato l’allarme noi eravamo a Gerusalemme. Avevamo programmato di vedere per ultima la parte nord-ovest della città, purtroppo abbiamo dovuto sospendere tutto». Lo racconta don Emilio Maltagliati, ex parroco di Cassinetta, di ritorno da Gerusalemme. Il sacerdote faceva parte del gruppo dei 43 fedeli di Cassinetta di Lugagnano e Albairate rientrati martedì 10 ottobre in Italia all’aeroporto di Pratica di Mare con un volo militare, reso necessario per il rimpatrio dei civili italiani presenti in Terra Santa.
Insieme all’ex parroco il gruppo era partito lunedì 2 ottobre alla volta di Israele in pellegrinaggio, interrotto sabato 7 ottobre con i primi attacchi del gruppo Hamas. «Paradossalmente le notizie più importanti del conflitto le abbiamo sapute dall’Italia – racconta don Maltagliati -, perché la televisione israeliana, pur essendo molto aggiornata, era però molto sobria nell’informazione: in uno stato di guerra dava solo le notizie essenziali e basta».
Le notizie del conflitto obbligano il gruppo a un cambio di programma: «Ci saremmo dovuti dirigere all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv per prendere un volo il giorno dopo, ma durante la notte la città era stata colpita 128 volte. Allora abbiamo disdetto l’hotel e con molta fatica ne abbiamo trovato uno a Gerusalemme». I problemi però continuano: la struttura era l’Hotel Leonardo, un albergo sito in una zona marcatamente ebraica della città. Il timore di nuovi bombardamenti porta il gruppo di pellegrini a cercare rifugio altrove. Ospitalità che trovano dalle Suore comboniane: «Siamo stati ospitati per una notte in una zona di Gerusalemme Est. Essendo un quartiere popolato soprattutto da palestinesi, lì i missili difficilmente sarebbero arrivati. Sapendo di essere in zona palestinese, le Suoreerano estremamente serene».
Il gruppo di don Maltagliati non è stato testimone oculare di particolari bombardamenti in città. Secondo quanto riferito e appreso dall’ex parroco, alcuni missili sarebbero caduti a poco più di un chilometro dalla loro posizione, esattamente nel quartiere ebraico dell’Università. «Quando si verificavano questi attacchi – specifica il sacerdote – la polizia allestiva un cordone per impedire l’accesso ai civili».