Un’incessante scalata verso Dio, in compagnia degli uomini, per guidare con la mano compassionevole di un padre chi da solo non ce l’avrebbe fatta: è questa una delle più efficaci descrizioni della straordinaria avventura terrena del Beato don Carlo Gnocchi, «il padre dei mutilatini», le cui spoglie – conservate nel Santuario diocesano di Milano a lui intitolato – sono mèta costante di fedeli, devoti e pellegrini.
Martedì 25 ottobre ricorre il 120° anniversario della sua nascita, che la Fondazione Don Gnocchi – in accordo con la Diocesi ambrosiana – festeggerà a partire dalla solenne celebrazione eucaristica in programma sabato 22 ottobre, alle 10.30, nel Duomo di Milano, presieduta dall’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini (vedi qui la locandina): diretta su Telenova (canale 18 del digitale terrestre), www.chiesadimilano.it e youtube.com/chiesadimilano.
Saranno presenti i rappresentanti delle più importanti istituzioni civili e militari, delle principali sezioni e gruppi alpini, dell’Aido e dell’Associazione degli Ex Allievi, insieme a tanti amici dell’Opera di don Carlo. Con loro i vertici della Fondazione, insieme a responsabili, operatori, volontari, pazienti e familiari provenienti da numerosi Centri “Don Gnocchi” oggi attivi nel Paese. Un omaggio alla memoria dell’apostolo dell’infanzia mutilata, un momento di preghiera e riflessione che vuole essere insieme occasione di riconoscenza e promessa di impegno a proseguire con coerenza il mandato da lui ricevuto, quell’«Amis, ve raccomandi la mia baracca» sussurrato in punto di morte a quanti gli stavano accanto.
Tra dolore e speranza
A 120 anni dalla nascita, i messaggi furtivamente consegnati da quanti animano ogni giorno il silenzioso pellegrinaggio alla sua tomba racchiudono frammenti di dolore e squarci di speranza. E sono soprattutto il segno concreto di una devozione popolare mai venuta meno, a partire dall’indimenticato saluto di quel piccolo mutilato in occasione dei funerali («prima ti dicevo: “Ciao, don Carlo”. Oggi ti dico: “Ciao, san Carlo”»), fino alle struggenti parole dell’amico arcivescovo Montini, quattro anni dopo, in occasione della traslazione della salma dal Cimitero Monumentale alla cappella del Centro Santa Maria Nascente della Fondazione Pro Juventute («veniamo all’eterna scuola che ancora tiene cattedra nella nostra società profana, quando sembra che sia troppo difficile, davanti a malanni gravi ed esigenti, dare precetti che non siano parole, ma esempi; dare esempi che non siano vanto, ma sacrifici; dare sacrifici che non siano momentanei, ma perenni»).
A distanza di tanti anni, l’addio sincero di quel bimbo e le splendide parole del futuro Papa conservano l’emozione struggente del ricordo e l’imperativo ineludibile del mandato. E disegnano lungo le strade di Dio (il processo di canonizzazione, avviato nel 1986 dal cardinale Martini, attende un nuovo miracolo per la dichiarazione di santità) e i sentieri degli uomini (l’Opera avviata da don Gnocchi, che raggiunge quest’anno i settant’anni di attività, è oggi una realtà di primo piano nel panorama socio-assistenziale e sanitario del nostro Paese) la figura poliedrica di un prete straordinariamente moderno, che ha segnato indelebilmente la storia sociale e civile italiana del secolo scorso.
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