Il paese felice, verso il quale ci si mette subito in viaggio, ma che si raggiunge solo per un sentiero, non con le autostrade della comodità solcate dalle automobili di lusso «cariche di ogni bene di Dio». Il paese che si vuole raggiungere perché «non conosceva né la guerra, né la malattia, né la tristezza e uomini e donne vi vivevano felici, rendendo felici gli altri».
Nella III domenica dell’Avvento ambrosiano, l’omelia dell’Arcivescovo (leggi qui il testo integrale), nella celebrazione in Duomo da lui presieduta e concelebrata dai canonici del Capitolo metropolitano, è una parafrasi allusiva e incisiva delle frenesie del mondo di oggi e di ciò che, persi tra tanta fretta e idoli di tutti i tipi, non vediamo più: la semplicità e la gioia della via evangelica.
L’omelia
«Partirono, come si usa tra gli uomini, con la fretta di chi vuole arrivare prima, come per una sfida, come per una gara, per occupare il posto. Partirono, come viene spontaneo, guardando gli altri come avversari da battere, come concorrenti che potevano insidiare la vittoria», sembra narrare l’Arcivescovo come in una favola, che è tutt’altro che favola e non solo perché «la strada si interrompe e si forma un enorme ingorgo o, piuttosto, un enorme parcheggio». Non solo pieno di vetture, ma anche del risentimento, della rabbia e della delusione di chi sognava un paradiso terrestre degno dei mitici mari del Sud e si ritrova all’inferno di un qualsiasi crocevia della nostra via crucis quotidiana e metropolitana, dove l’ultima soluzione è accontentarsi.
E non basta allora che un bimbo – simbolo eterno della voce dell’innocenza perduta -, noti un cartello che indica il sentiero, perché è sicuramente pericoloso, perché le macchine «non passano». E ci si sente già beffati. Insomma, «il paese felice è un sogno, un imbroglio. Io non credo più a niente e a nessuno»: la reazione più semplice.
Ma il sentiero c’è e rimane, è la «via che Dio prepara per visitare il suo popolo e che rende accessibile ai figli di Dio il paese felice». La questione è che, per percorrerlo, occorre uno stile, come suggerisce l’Arcivescovo: «I mezzi potenti non sono adatti. Sul sentiero è fuori posto l’animo competitivo che vuole correre per arrivare primo. Sul sentiero gli abiti di lusso sono di impaccio e di cattivo gusto». Mentre. l’opera di Dio rende possibile a tutti percorrere questa strada: «Possono percorrerla anche i ciechi, purché ci sia qualcuno che li guida, anche gli zoppi, purché ci sia qualcuno che li porti, anche i poveri, perché sono i primi invitati». Insomma, «il sentiero è accessibile solo per chi cammina insieme con gli altri». Camminando insieme, crescendo nel vigore e non nella stanchezza. Sperimentando la gioia di chi segue il Signore trovano, finalmente, per sempre la propria strada.
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