«I giovani sono l’adesso di Dio» è forse la frase più felice e fulminante del pontificato di Francesco. Dice molto con poco, in ossequio allo stile impartito dalla scuola gesuitica. Sprigiona la potenza della profezia, il fascino della conquista, il sapore della verità. Suggella un legame autentico, fondato su sincerità e ascolto. «Un dialogo sorgivo» – per citare padre Antonio Spadaro – nel quale la differenza cruciale, lo scarto maggiore, risiede nella postura adottata: il Papa parla con loro, anziché di loro.
Basta gettare un rapido sguardo sulla contemporaneità, per notare l’abissale divario. Prevale sulla gioventù una narrazione incline al pessimismo, imbevuta di passioni tristi: nichilismo, rassegnazione e sgomento regnano sovrani. I giovani sarebbero superficiali e saccenti, vanesi e viziati, arrivisti e arroganti. Perciò incapaci di concepire il fallimento e di sognare in grande.
Nessuna retorica
Per Francesco, piuttosto, sono capolavori da compiere e promesse da esaudire, che portano una novità assoluta e inedita sulla scena della quotidiana, pur camminando fra traumi e tormenti, speranze e sofferenze, felicità e frustrazione. Così, quando entra in relazione con loro, evita la retorica, dribbla il paternalismo, rifugge giudizi fuorvianti e banalità. Un saldo punto di riferimento in una società confusa e contradditoria. Affronta i fondamentali temi dell’esistenza – la fede e Dio, la morte e il dolore, la felicità e il fallimento – senza infingimenti di sorta e astrazioni intellettuali.
Domande e risposte
Le Giornate mondiali della Gioventù di Rio e Cracovia, i viaggi apostolici, il Sinodo convocato nel 2018. E ancora, centinaia di discorsi, catechesi, messaggi. I giovani intervistano il Papa, il Pontefice interroga i giovani. Sollecita domande e condivide risposte. Ascolta e osserva. Invoca il silenzio e guida la preghiera. Parte sempre dalla parola, la parola che salva, il Vangelo.
Consola i giovani del Kenia, mostrando alcune immagini della via Crucis: «Questa è la storia del fallimento di Dio, la porto con me insieme a un rosario, cercando di fare del mio meglio. Grazie a queste due cose non perdo la speranza».
In una lettera alla Diocesi di Buenos Aires incoraggia a varcare la soglia della fede, «avvicinandosi a chiunque viva alla periferia della vita, badando alle fragilità dei più deboli».
Stupisce i giovani del Belgio: «Quando l’uomo trova se stesso, cerca Dio. L’incontro con Lui è una grazia».
Ali e radici
A Rio de Janeiro riconduce nella croce di Cristo tutto l’amore di Dio, la sua immensa misericordia: «Che cosa lascia la croce di Croce in ciascuno di noi? Lascia la certezza dell’amore fedele di Dio. Un amore così grande che entra nel nostro peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dona la forza per portarla, entra anche nella morte per salvarci».
Ribattezza così gli studenti aderenti alla rete di Scholas nei cinque continenti: «Il futuro è dei giovani con ali e radici. Ali per volare, sognare e creare. Radici per ricevere dai più anziani la saggezza del mondo».
In un messaggio per la Giornata missionaria mondiale, sulle orme di Paolo, li nomina «viandanti della fede». Chiamati ad «accogliere, ascoltare e abbracciare tutti. Ogni vita è amata dal Signore, ogni volto mostra il volto di Cristo, specialmente quello di chi è ferito dalla vita, di chi è solo, di chi fugge dalla guerra e dalla morte», ribadisce in un discorso ai giovani dell’Azione cattolica.
Parole, incontri e gesti – per chiosare – che cambiano la vita, stravolgono l’esistenza, convertono il cuore. Scandendo percorsi umani e di fede, appena scontornati dagli anni. Dio si palesa anche in questi momenti, parla dentro questi incontri, palpita nell’attimo in cui il respiro si ferma, l’anima freme e la bellezza irrora il mondo.
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