Si è conclusa a Venegono Superiore, nell’Istituto dei Padri Comboniani, l’odissea di 17 naufraghi fatti sbarcare all’inizio di giugno dal Ministero dell’Interno dopo l’intervento della Conferenza episcopale italiana. Terminato il viaggio in mare, per loro inizierà tuttavia un secondo viaggio non meno incerto: quello tra le leggi italiane e le contraddizioni del sistema di asilo europeo.
Con altri migranti, in totale 50 persone, i nuovi ospiti sono stati tratti in salvo al limite delle acque territoriali maltesi dal mercantile Asso 25 e condotti nel porto di Pozzallo (Ragusa) il 7 giugno. Dalla cittadina siciliana sono stati poi condotti nel centro di accoglienza di Rocca di Papa, alle porte di Roma, dove si sono uniti a un gruppo di altri 100 naufraghi, anche loro presi in consegna dalla Conferenza episcopale italiana, dopo essere giunti qualche giorno prima a Genova a bordo del pattugliatore della Marina Militare Cigala Fulgosi.
Assegnati alla Diocesi di Milano da Caritas Italiana, che per conto della Cei gestisce i progetti di accoglienza, sono giunti nella sede dell’istituto missionario nel piccolo Comune del Varesotto il 4 luglio. Sistemati nelle stanze messe a disposizione dai padri missionari, hanno passato questi giorni sbrigando le prime pratiche burocratiche. All’inizio della settimana sono stati accompagnati alla Prefettura di Varese per un secondo foto-segnalamento (il primo era avvenuto a Ragusa).
Da questo momento in poi inizierà l’iter per la loro domanda di asilo. Un percorso lungo e per nulla scontato. Il gruppo è composto da giovani tra i 18 e i 30 anni, provenienti tutti da Paesi sub-sahariani: Senegal, Mali, Costa D’Avorio, Nigeria, Gambia, Sud Sudan. I funzionari della Commissione territoriale esamineranno ognuna delle loro domande e dovranno verificare sulla base delle storie individuali, se esistono i presupposti per riconoscere loro una qualche forma di protezione internazionale e quindi concedere il permesso di soggiorno. Ma non è affatto certo che questo sarà l’esito. Anzi l’orientamento generale del governo e le nuove indicazioni dei cosiddetti Decreti Sicurezza uno e due, lasciano parecchi dubbi.
In ogni caso, in attesa che si concluda l’esito della loro domanda, a tutti loro saranno offerti per il prossimo anno vitto, alloggio e corsi di italiano, grazie esclusivamente al sostegno economico della Cei, alla disponibilità dei padri Comboniani che hanno aperto le porte di casa e al lavoro degli operatori della Cooperativa Intrecci, l’ente che per conto di Caritas Ambrosiana, da oltre vent’anni, si occupa di accoglienza nella provincia di Varese.
Non è affatto detto però che i migranti rimarranno a Venegono Superiore in attesa di sapere quale sarà il loro futuro. Qualcuno potrebbe scegliere di andare altrove a cercare un prospettiva migliore. Magari in Francia, per esempio, Paese del quale molti conoscono già la lingua, tentando di attraversare il confine. «Noi glielo sconsiglieremo vivamente, perché in questo modo si condannerebbero a una condizione di irregolarità, dalla quale difficilmente potrebbero rientrare almeno nel prossimo futuro – precisa Dario Giacobazzi, l’operatore della Cooperativa Intrecci che nel frattempo li sta seguendo -. Ma non possiamo escludere a priori questa eventualità. Nel caso qualcuno decidesse di andarsene, ammesso e non concesso che ce lo dica, non lo potremo trattenere, perché nei nostri compiti non rientra quello della custodia».
«Dobbiamo essere grati ai nostri vescovi, perché ancora una volta hanno messo davanti a ogni altra considerazione la vita delle persone offrendo risorse e strutture – spiega Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana -. Ma questa vicenda, come quella della Diciotti lo scorso anno (dove anche in quel caso solo la mediazione della Cei permise ai migranti salvati di sbarcare sul nostro territorio), mette in luce l’enorme latitanza della politica. In un anno nulla è stato fatto dagli Stati membri dell’Ue per introdurre un meccanismo di redistribuzione dei richiedenti asilo più equo, nonostante il Parlamento europeo abbia approvato la riforma del Regolamento di Dublino che attualmente obbliga il Paese di primo approdo a farsene carico. Proprio il nostro governo, che dovrebbe essere il più interessato a cambiare le cose, ha brillato per assenza. Preferendo evidentemente fare propaganda, come si è visto anche in questi giorni a proposito dello sbarco della Sea Watch».