«Sono originario dell’Ecuador, ho 38 anni e sono arrivato in Italia 22 anni fa. Qui ho conosciuto mia moglie, abbiamo un bambino che oggi ha 11 anni. Lavoro come operatore logistico in un’azienda che fa le consegne di elettrodomestici nelle abitazioni». Si presenta con semplicità, Edgar Viviano Patiño Saldana, uno degli 8 candidati che, dopo aver percorso un cammino formativo quinquennale, diventeranno diaconi permanenti della Chiesa ambrosiana con l’Ordinazione presieduta in Duomo dall’Arcivescovo sabato 9 novembre.
Com’è nata la sua vocazione?
Dentro di me è sorta una domanda: «Cosa posso fare per Gesù, per la mia Chiesa?». Ne ho parlato con il mio parroco e da lì sono iniziati i colloqui per arrivare a prime risposte. L’idea è stata quella di mettersi a servizio del povero dietro al quale c’è Gesù, come si vede nell’immagine che abbiamo scelto come classe. Certamente la formazione teologica è stata molto importante, perché oggi, per coltivare la cura della pastorale e delle persone, si devono avere idee chiare e fondamenti precisi.
Voi avete scelto il motto tratto dal Vangelo di Giovanni al capitolo 12, «Dove sono io, là sarà anche il mio servitore», proprio per dire che siete presi a servizio?
Sì, è alla base del nostro lavorare giorno dopo giorno: in questo sta il servizio e l’impegno che danno valore alla vita.
Come si fa a combinare vita familiare, lavoro, essere diaconi permanenti?
Questa è la domanda che fanno tutti. Io penso che abbia un valore importante la persona che ti accompagna, in questo caso mia moglie. Ho sempre detto che non ho scelto io mia moglie, ma Dio me l’ha mandata per aiutarmi a camminare in questo percorso di fede. Per me è stata un sostegno importante: e ora lo è anche mio figlio.
In quale servizio pastorale è impegnato?
Sono impegnato nella parrocchia di Sant’Ambrogio a Monza e nella Comunità pastorale, ma anche nella Pastorale dei migranti, con don Alberto Vitali, presso la parrocchia di Santo Stefano Maggiore a Milano.
Tra voi 8 nuovi diaconi permanenti ci sono diversità di professioni, di età, di esperienze. Siete riusciti subito a comprendervi e a essere coesi come classe di ordinazione?
Certamente siamo diversi, ma con la forza di fare qualcosa per le nostre comunità e di metterci in gioco attraverso il servizio, la sintonia è stata immediata. È un gruppo molto bello.
Qual è il suo sogno come diacono?
Vorrei, voglio, essere una pagina del Vangelo e lasciare che le mie mani siano le mani di Cristo, che i miei piedi siano i suoi piedi per mettermi in gioco, per servire e per andare avanti. Noi abbiamo la possibilità di arrivare dove i preti e anche i vescovi talvolta non possono andare, ovvero i posti di lavoro, la famiglia, gli amici, là dove oggi si parla di tutto, tranne che di Gesù.
A proposito degli amici, come hanno reagito?
Anche loro sono molto contenti e mi incoraggiano. Ho la grazia di avere al mio fianco delle belle persone che mi sostengono e che hanno capito la mia scelta.