Non accontentarsi «della mediocrità, dei luoghi comuni, dei buoni sentimenti». Non essere dei cristiani «qualsiasi». È chiaro il messaggio che l’Arcivescovo dal Duomo, dove presiede la celebrazione per l’Ordinazione dei nuovi Diaconi permanenti ambrosiani, rivolge a loro e a tutta la Diocesi: «è troppo poco praticare quella mediocrità che si definisce come buon senso, ma che in realtà è pigrizia, rassegnazione, viltà».
La celebrazione
Insomma, occorre andare «oltre», come appunto hanno fatto gli 8 uomini che hanno scelto la strada del Diaconato permanente: persone diverse per provenienza, professione, età, dai 38 anni – il più giovane Diacono permanente dei 166 presenti nella Chiesa ambrosiana – ai 61. Tutti sposati, con accanto le loro mogli e i figli, gli amici, i parrocchiani, i confratelli, i sacerdoti che li hanno accompagnati nel cammino e coloro presso cui svolgeranno il loro ministero pastorale, i candidati hanno così vissuto il «momento solenne e commovente» dell’Ordinazione, come lo definisce l’Arcivescovo cui sono accanto, in altare maggiore, il rettore della Formazione al Diaconato permanente, don Filippo Dotti, il vicario episcopale per la Formazione permanente del Clero, monsignor Ivano Valagussa, 3 Vescovi, tra cui il Vicario generale, e alcuni membri del Cem. Momento pubblico che, dopo 6 anni di cammino, sancisce l’essere presi a servizio per sempre, secondo il motto da loro scelto, tratto dal Vangelo di Giovanni 12, “Dove sono io, là sarà anche il mio servitore”. A servizio proprio perché «resi partecipi della regalità universale di Gesù». Non caso, l’Ordinazione viene conferita nella Messa vigiliare della Solennità di “Nostro Signore Gesù Cristo, re dell’Universo”, ultima domenica dell’anno liturgico ambrosiano, appunto a indicare la regalità di Colui che è venuto non per essere servito, ma per servire.
Il servizio e il fallimento
Dopo la presentazione degli Ordinandi, l’omelia (leggila qui) – ispirata dalla I Lettura dal Libro del profeta Isaia, dalla Lettera paolina ai Filippesi e dal Vangelo di Luca con Gesù in croce tra i due malfattori – è, infatti, un richiamo insistito e ripetuto a non fermarsi al poco. Anche quando, come spesso oggi, si ha l’impressione del fallimento nella missione di annunciare il Vangelo. «Raccolgo spesso dichiarazioni di esiti deludenti, di un desiderio di trasmettere la parola del Signore e la constatazione del rifiuto o della irrilevanza, di un impegno gravoso ma senza frutto, di proposte ben preparate e ben presentate che cadono nell’indifferenza», non si nasconde monsignor Delpini. «Me lo dicono i genitori di figli che sono stati educati con ogni cura nei percorsi della vita cristiana ma che hanno rifiutato di perseverarvi, talora con trasgressioni clamorose e polemiche, talora con il conformarsi quieto e stordito al clima depresso dei loro coetanei. Me lo dicono i preti che vedono assottigliarsi il numero di quelli che accolgono con gioia e con riconoscenza l’annuncio del Vangelo, gli insegnanti, i catechisti, coloro che testimoniano il Vangelo negli ambienti della vita quotidiana, a scuola, in ufficio, in fabbrica: quello che abbiamo di più caro e profondo, sembra non interessi».
Eppure, «in questa dichiarazione di fallimento è sorprendente il cantico che esalta l’opera di Gesù che pur essendo nella condizione di Dio umiliò sé stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte vergognosa della croce».
Sulla via di Gesù
E questa è anche la via su cui camminano (o dovrebbero) i discepoli che siamo tutti noi, «desiderosi di obbedire al Padre, di seguire il Signore Gesù per essere a servizio del desiderio di Dio Padre di salvare tutti».
Per questo è «troppo poco che tu ti prenda cura di te stesso, per essere una persona seria, onesta, affidabile», dice il vescovo Mario quasi rivolgendosi a uno a uno. «È troppo poco che tu sia uno di quelli che c’è, che occupa il suo posto in chiesa, che fa qualche ora di volontariato. È troppo poco che pensi al tuo futuro e al futuro dei tuoi familiari con le attenzioni e le cautele della prudenza umana. È troppo poco che la vita trascorra nella media, né buona né cattiva». Appunto è «troppo poco essere un cristiano qualsiasi». Al contrario, prosegue, «questo richiamo al “troppo poco” ha raggiunto questi uomini che, a un certo punto della loro vita, hanno intuito un oltre. Non un’evasione, non una aspirazione per una posizione di maggior prestigio, ma un rendersi disponibili per un servizio alla Chiesa, alla gente, al Vescovo, ai bisogni dei fratelli che sia in continuità con le scelte della vita di famiglia e della professione eppure aperto a orizzonti più grandi».
Un messaggio per tutti
Perciò i Diaconi permanenti possono «incoraggiare molti: non tutti, ovviamente, sono chiamati a un ministero ordinato, ma tutti sono chiamati a uscire dal “troppo poco” in cui si rischia di accomodarsi», osserva ancora l’Arcivescovo che conclude. «La regalità di Gesù, manifestata attraverso il fallimento della crocifissione tra i malfattori, insegna anche come deve essere vissuta la missione che il Signore affida ai suoi servi. Ecco come Gesù si manifesta re dell’universo: salva tutti, ma uno per uno. Ciascuno è unico e per ciascuno è pronunciata la parola “Oggi con me sarai nel paradiso”. L’ordinazione diaconale di questi 8 nostri fratelli è dunque un messaggio per tutta la Chiesa diocesana. Così noi seguiamo Gesù amando tutti, desiderandone la salvezza, uno per uno».
Poi, gli impegni degli eletti – con il “Sì, lo voglio” e il “Sì, lo prometto” – le Litanie dei Santi, con i candidati sdraiati ai piedi dell’altare maggiore e, alle spalle, le mogli, l’imposizione delle mani, nel silenzio della Cattedrale, la preghiera di Ordinazione e i Riti esplicativi con la vestizione degli abiti diaconali, aiutati dalle consorti, e la consegna del Libro dei Vangeli.
Al termine della celebrazione c’è tempo anche per una delicata raccomandazione dell’Arcivescovo agli ormai Diaconi permanenti – «Domani regalate una rosa alle vostre mogli»- che, poi, saliti con lui in Episcopio, ricevono le destinazioni pastorali (vedi sotto l’elenco) per lo più inserite nei campi sanitario, scolastico, educativo, ma anche, in un caso, in una cappellania carceraria e per il più giovane (nativo dell’Equador) anche a servizio della pastorale dei Migranti.