Cinque nuovi diaconi permanenti per la Chiesa di Milano, a 35 anni dalla reintroduzione di questo ministero nella nostra Diocesi.
Sabato 5 novembre, con una Messa solenne nel Duomo di Milano, alle 17.30, l’arcivescovo Mario Delpini ordinerà Francesco Buono, classe 1962 di Garbagnate Milanese, Gaetano Macaluso, classe 1972 di Pero, Florin Moldovan, 38 anni residente a Cologno Monzese (leggi qui la sua testimonianza), Giulio Napoletano nato nel 1962 e residente a Laveno Mombello e Alessandro Terribile, milanese, classe 1974: diretta su www.chiesadimilano.it e Youtube.com/chiesadimilano.
Uomini sposati, da tempo inseriti nel mondo lavorativo e comunitario, che hanno deciso di rimettersi in discussione accogliendo la vocazione ministeriale all’interno di quella matrimoniale, mossi da un incontro personale con Gesù sulla Croce. «Attirerò tutti a me», tratto dal Vangelo di Giovanni, è infatti il motto che hanno scelto in vista dell’ordinazione. «È sicuramente il Signore che attira tutti a sé – spiegano i candidati – ma lui ha bisogno di operai per la sua messe e noi non vogliamo disattendere l’invito». Così, con l’umiltà e lo spirito di servizio che caratterizza il ministero diaconale, questi cinque uomini si impegneranno ad «attirare tutti a Cristo».
Francesco: la profezia della vocazione
Un desiderio che viene da lontano. Per Francesco da molto lontano. «Provengo da una famiglia umile e numerosa – racconta- sono il primogenito di undici figli cresciuti con l’esempio di fede, fraternità e amicizia dei genitori». A vent’anni, in un momento di profonda crisi, c’è stato l’incontro decisivo con una persona affetta dalla sindrome di Down, durante un campo estivo a Mondragone. «Ricordati, fratello mio, che la Croce è Grazia». Questa per il giovane Francesco è stata una profezia, «la traccia fondamentale della vocazione». Dopo aver fatto l’insegnate di Religione a Caserta, venticinque anni fa si è trasferito a Milano e oggi lavora in una scuola primaria a Garbagnate Milanese. «La vita da diacono – dice – aggiungerà alla mia professione la consapevolezza che l’opera della semina deve continuare senza esitazione, anche se sarà necessario attendere che i frutti maturino. Lo sguardo con cui da Gesù mi sento accompagnato è lo stesso con il quale lui guarderebbe i bambini al mio posto».
Gaetano: un cammino di coppia
Anche per Gaetano la vocazione diaconale trova le sue origini nella giovane età quando, gradualmente, è diventato forte il desiderio di essere sempre più vicino al Signore e di aiuto alla comunità. «Un giorno il confessore mi ha suggerito di valutare il diaconato permanente – ricorda – e così mi sono messo in cammino senza sapere bene dove questa strada mi avrebbe condotto. Non sono mancati i momenti di difficoltà, i dubbi, le domande, ma con la certezza che ciò che Dio comincia, lo porta a compimento». La decisione ha coinvolto anche la moglie. «È stata una chiamata nella chiamata – spiega -. Così come nella coppia si impara a non vivere più solo per se stessi, ma ad accogliere, ascoltare e sostenere l’altro, così nel ministero diaconale occorre fare delle rinunce per meglio amare e servire gli altri e, negli altri, Dio».
Alessandro: come “pietre d’inciampo”
Alessandro, invece, ha iniziato a prendere sul serio la vocazione diaconale dopo la visita di papa Francesco a Milano, nel marzo 2017. Sul lavoro gli è capitato di avere confronti interessanti con colleghi spesso non credenti o dubbiosi. «Non dobbiamo aver paura di essere “pietra d’inciampo”- spiega – siamo seminatori, poi lasciamo fare all’azione dello Spirito».
Giulio: i due camici
Il cammino di formazione al diaconato per Giulio, medico anestesista e rianimatore, ha in parte coinciso con i mesi più bui della pandemia. «In ospedale eravamo in prima linea di fronte a un nemico sconosciuto – ricorda- e in quel momento ho imparato a credere nel bene che Gesù, nel quotidiano, mi faceva accadere. Era la modalità con cui l’Eterno mi veniva incontro nel malato».
Dopo l’ordinazione dovrà trovare il tempo per la famiglia, i cinque figli, il lavoro e il ministero. «Non mi sento diviso come se dovessi indossare più camici alternativamente – spiega-. Il camice di Cristo servitore mi verrà sacramentalmente cucito sulla carne, in ogni circostanza: famiglia, lavoro e Chiesa».
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