Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima (Is 53,3).
Cominciò a sentire paura e angoscia
L’angoscia che paralizza. Nell’angoscia la mente resta sconvolta e non riesce a concentrarsi, ritorna ossessivamente su quello che prevede, terribile, spaventoso, insostenibile. Le cose semplici sono pesanti come montagne. La realtà perde colore, tutto appare oscuro, opprimente. Anche le cose piacevoli diventano amare e le cose normali risultano disgustose.
L’angoscia irrompe prima di un ricovero in ospedale, prima di un intervento chirurgico, prima di una scelta decisiva, ma anche in momenti che dovrebbero essere di esultanza, come mettere al mondo un bambino.
L’angoscia si vive spesso in solitudine: gli altri non capiscono, le loro parole sono maldestre, il loro incoraggiamento che vuole minimizzare, che cerca di distrarre dall’ossessione invece che consolare, ferisce ancora di più.
L’angoscia irrompe inaspettata: anche chi sembra forte si rivela vulnerabile, anche chi avrebbe tante risorse per superare la paralisi sperimenta l’impotenza.
Gesù ha visitato e provato la paura e l’angoscia, esperto nel soffrire. La testimonianza dei Vangeli rivela che Gesù conosce che cosa proviamo quando siamo angosciati, condivide le esperienze delle persone che piangono e gridano. Con la sua vicinanza insegna a trasformare il grido in preghiera: non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu, Padre!
Il Padre non vuole certo l’angoscia e la passione dolorosa che sarà inflitta al suo Figlio unigenito, il prediletto. Il Padre vuole la salvezza di tutti. Gesù intuisce che per essere fedele alla sua missione di amare tutti, di liberare tutti dalla schiavitù subirà il supplizio e perciò prega: voglio fare la tua volontà, voglio dare la mia vita per tutti, anche a costo di subire dagli uomini il più ingiusto castigo. Perciò eccomi! Voglio compiere la tua volontà, a qualsiasi costo! A costo della vita!
Non conosco quest’uomo di cui parlate!
Le persone più care che sono una delusione. Quelli che sono amici quando tutto va bene e che diventano estranei quando avresti bisogno di una mano. Quelli di casa, quelli da cui ti aspetti comprensione, solidarietà, vicinanza quando vengono in momenti difficili. La moglie, il marito, i figli, quelli ai quali ha dedicato tutta la vita: diventano enigmi incomprensibili, si allontanano con risentimento, ti vedono solo per chiedere o per litigare. Che delusione!
Gesù ha sperimentato il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro. I discepoli si sono comportati in modo deludente: tutti lo hanno abbandonato. Nella desolazione del rinnegamento Gesù ha seminato un principio di conversione. Nulla mai è irrimediabile, se la tristezza diventa invito alle lacrime di pentimento. Pietro, che ha rinnegato, piange e professerà il suo amore, così fragile eppure così determinato: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene.
Una corona di spine… e gli percuotevano il capo con una canna
Fa male. Le spine si ficcano nella pelle e pungono con crudeltà. Fa male. I flagelli percuotono la carne e la strappano a brandelli. Fa male. I colpi in testa del bastone fanno gridare e sanguinare.
Il dolore fisico, quello che viene dalla malattia, scava nella carne e fiacca anche l’anima, fa piangere e gridare. È incomunicabile. Gli altri non possono capire. La crudeltà dei torturatori è una perversione incomprensibile. Ma senza arrivare a tanto non si riesce a dire quanto faccia male quello che fa male. Prima o poi passiamo tutti attraverso il dolore fisico e la malattia e mendichiamo un po’ di sollievo: «dottore, mi dia qualche cosa!». Quando il dolore fisico è forte non si riesce a pensare nulla, non si riesce a pregare per niente.
Anche nel dolore acuto, straziante del corpo ferito Gesù è vicino, esperto del patire. Nell’ingiusto soffrire Gesù non ha parole, non ha presenze amiche, non ha sollievo. Che cosa avrà pensato in quelle ore in cui i soldati l’hanno così duramente maltrattato? Gesù ha certo pregato: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Gesù forse a ogni colpo ripeteva: io ti amo lo stesso! Anche se tu mi deridi, io ti amo! Anche se tu mi bastoni, io ti amo. Anche se tu mi sputi addosso, io ti amo. Anche se tu mi odi senza ragione, io ti amo. Anche se tu sfoghi la tua rabbia e poi stasera ti ubriachi per soffocare il senso di colpa e non ha stima di te stesso, io continuo ad amarti, io continuo ad avere stima di te e a soffrire il male che tu mi fai perché tu possa spremere da te il bene che nascondi, l’immagine del Padre che è in te. Io ti amo.
Dando un forte grido spirò
Il male ultimo, il male irreparabile, l’ultimo invincibile nemico. Morire. L’abisso inesplorato e terribile. L’enigma incomprensibile. L’esperienza che nessuno può raccontare: la morte. Lo strazio che porta via una persona cara: quello che tutti possiamo raccontare: l’irreparabile. Ormai è morto!
Anche in quell’abisso senza ritorno si è immerso il Figlio di Dio con il forte grido che scuote il cielo e la terra. Gesù grida: è insopportabile la morte per Colui che è la vita. Gesù grida: dov’è o morte la tua vittoria? Gesù grida: entro nel tuo abisso per vincerti, morte, nemica di ogni cosa buona! Gesù grida: si annuncia la vittoria, la vita nuova. Proprio perché Gesù è morto, anche la nostra morte non è lo sprofondare nel nulla, ma nel seguire il Signore, nell’entrare nella gloria di Dio, la vita felice, per sempre! Dov’è o morte la tua vittoria?