«Gesù continua ad attraversare la città per effondere il suo Spirito e rendere praticabile il suo comandamento. Ma la città non comprende: continua a preferire l’arroganza al servizio, l’accumulo egoistico alla solidarietà, la solitudine rassicurante alla comunità fraterna e all’accoglienza fiduciosa». Attraversando le vie della metropoli, tra le luci dello skyline futuribile e famoso nel mondo che si vedono in lontananza e quelle più vicine del quartiere QT8, l’Arcivescovo lancia il suo monito alla Milano distratta. Quella ammaliata dalle sue mille luci, appunto, e che spesso chiude gli occhi davanti al buio delle solitudini, dell’emarginazione e della disperazione. Esistenze che sono, a loro modo, vie della croce che trovano voce nella Via Crucis che monsignor Delpini presiede per la Zona I nel Decanato San Siro-Sempione-Vercellina, camminando, sostando nella I, II, XII e XIII Stazione, pregando, proclamando insieme le invocazioni, ascoltando la Parola di Dio e brani di omelie di papa Francesco, della Bolla di indizione del Giubileo Spes non confundit e riflessioni di Benedetto XVI e san Giovanni Paolo II.
Circa 800 i fedeli riuniti dietro la croce, portata a turno, compiendo il percorso di poco più di un chilometro dalla parrocchia di Santa Maria Nascente alla scuola primaria Martin Luther King per la seconda sosta, ed entrando, per le ultime due, nel parco Monte Stella di San Siro, con una lieve salita fino al secondo cerchio. Dove, davanti a un semplice altare all’aperto, l’Arcivescovo pronuncia l’omelia.
Una cinquantina i sacerdoti, tra cui il vicario episcopale per la Zona I, il vescovo monsignor Giuseppe Vegezzi, il Moderator Curiae monsignor Carlo Azzimonti, il decano don Marco Borghi, molti altri Decani della città e don Mario Meroni, parroco di Santa Maria Nascente, ringraziato al termine da monsignor Vegezzi.

L’incompreso
«Fino all’ultimo grido – dice subito l’Arcivescovo – la parola di Gesù risuona come parola incomprensibile: quelli che gli stanno intorno non capiscono. Gesù continua ad attraversare la storia e continua a essere incompreso, come uno che parla una lingua straniera. Così capita anche ai discepoli che attraversano la città e danno testimonianza a Gesù».
Voce di uno che grida nel deserto, si potrebbe dire, delle metropoli del terzo millennio, dove, tuttavia, «il Signore continua a farsi voce dell’umanità disperata anche se nel cuore della città Gesù prega il Padre, ma la città non sa» e la preghiera, «è una lingua sconosciuta, una estraneità incomprensibile». Una storia – questa – peraltro antica se persino «i discepoli scelti da Gesù per stargli vicino nella drammatica notte del Getsemani non riescono a partecipare della preghiera di Gesù; i presenti alla crocifissione sentono l’ultima preghiera, ma non sanno che cosa sia».
Il maestro
Un Gesù maestro incompreso, dunque, ma «che insegna la via della vita, semina la speranza del Regno, rende partecipi i discepoli della sua relazione con il Padre, apre il cuore alla confidenza. Gesù continua a essere in città la Parola di Dio, il maestro di vita, ma la città non ascolta, non comprende, ha altro da fare, affari più urgenti da sbrigare», osserva l’Arcivescovo che non fa sconti di fronte a ciò che spesso è evidente, oggi come 2000 anni fa. «La rivelazione del Padre misericordioso, prova compassione dei cuori feriti, dei poveri umiliati, delle solitudini desolate. Ma il suo modo di prendersi cura, i segni del suo amore, che serve e salva, risulta incomprensibile nel suo consegnarsi impotente di fronte al potere spietato».

È lo scandalo della croce di risurrezione sotto la quale rimangono fino all’ultimo Maria e il discepolo amato: quelli che non scappano e non rinnegano, simbolo di un’umanità rinnovata. «Gesù, l’incompreso dalla gente e dai potenti, dai capi del popolo e dai capi del tempio, si fa comprendere dal discepolo amato, colui che ascolta la parola e la mette in pratica. Nasce così – conclude monsignor Delpini – una storia nuova, un popolo nuovo, una speranza per tutti: che Gesù l’incompreso sia la luce che aiuta a comprendere ogni cosa».
Poi l’adorazione della croce in ginocchio e la benedizione solenne.