L’incomprensibile abisso della crudeltà
Gridano: sia crocifisso! sia crocifisso! Non solo: «A morte!». Reclamano che sia condannato alla morte di croce.
Come può succedere che un uomo desideri far soffrire così un altro uomo? C’è un enigma troppo incomprensibile. Siamo indotti a disperare dell’umanità, se consideriamo come una folla, composta per lo più di brava gente, come io penso, chieda a gran voce che un uomo sia torturato così, se consideriamo che ci siano persone che torturano, umiliano, infliggono sofferenze strazianti. Siamo indotti a pensare che ci sia nell’animo umano un principio di male spaventoso.
La parola della croce è stoltezza (1Cor 1,18)
Che fare di fronte all’orrore del soffrire? Il soffrire diventa orrore perché non è il tormento di una malattia, non è il disastro di una disgrazia. Che fare di fronte all’orrore di un uomo sfigurato per mano di uomini?
Ci sono di quelli che si avvicinano come a uno spettacolo che meriti di essere guardato: forse si svegliano nelle profondità insondabili dell’animo umano i mostri, forze oscure, incontrollabili, inconfessabili. I mostri diffondono nella mente e nelle viscere un veleno che finisce per rendere piacevole ciò che è disgustoso, che fa apparire desiderabile quello che è ripugnante. Sì, nell’animo umano possono abitare anche i mostri, e gente che libera i mostri che porta con sé va verso l’uomo troppo sfigurato dal soffrire come a uno spettacolo curioso che merita insulti e disprezzo.
Ci sono di quelli che provano fastidio per la polvere e il sangue, che si tengono lontano dalle masse, perché si sentono più intelligenti e più educati. Si curano con gli anestetici. Si esercitano nell’indifferenza, si informano e registrano i fatti di cronaca, ma non si lasciano coinvolgere nei drammi del soffrire. Giudicano la compassione una stoltezza e l’interrogarsi sugli abissi una distrazione dai loro ragionamenti e dai loro affari. Un anestetico può servire per fare della indifferenza la cautela astuta per stare tranquilli.
Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,37)
Ci siamo anche noi, il popolo della via crucis.
Lo Spirito che il Crocifisso effonde con il suo “morire così”, morire per morte di croce, opera in noi e ci rende disponibili all’attrattiva che Gesù ha promesso: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).
E Paolo scrive ai Corinzi: «Come sta scritto quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio» (1Cor 2,8-10).
Noi, il popolo della Via crucis, per grazia dello Spirito Santo volgiamo lo sguardo a colui che è stato trafitto e siamo aiutati a superare l’orrore per il male che l’uomo può fare. Siamo aiutati a superare anche la reazioni furiose e rabbiose di fronte al male che l’innocente può subire. Siamo aiutati a superare anche l’indifferenza che induce a volgere altrove lo sguardo.
Noi, il popolo della Via crucis, per grazia dello Spirito Santo tenendo fisso lo sguardo su Gesù riceviamo la grazia di accogliere nel “morire così” di Gesù sulla croce il compimento della rivelazione e della promessa di Gesù, che avendo amato i suoi, li amò fino alla fine (Gv 13,1).
Ma nella contemplazione del Crocifisso, percorrendo la via crucis, noi, popolo della via crucis, siamo destinatari dei una grazia che ci riempie di sorpresa e di gratitudine, di trepidazione e di ardore. Lo Spirito di Dio, infatti, proprio attraverso lo spettacolo tremendo di Gesù che “muore così” per non sottrarsi al compimento dell’amore, riceviamo una specie di grazia di trasfigurazione e di conformazione: avvertiamo che nei nostri cuori aridi si diffonde la compassione, avvertiamo che nei nostri pensieri troppo meschini si irradia la capacità di amare, il desiderio di amare così, come siamo stati amati.
Siamo liberati dai mostri che possono insinuarsi negli angoli oscuri dell’animo, siamo riscossi dall’anestesia che rende indifferenti e, per dono dello Spirito del Crocifisso, siamo capaci di amare, capaci di amare “come” Gesù: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv15,12).