Una veglia di luce, quella in traditione Symboli 2024, che ha visto radunarsi, come ogni anno, i catecumeni – questa volta 83 – e i giovani della Diocesi. Luce come quella di tante piccole “gocce”, come le ha definite l’Arcivescovo Mario Delpini, che componevano la parola «Alzati» su di un pannello situato all’ingresso del Duomo.
Ogni partecipante ne ha ricevuta una, ma l’ha accesa solo dopo aver dato, interiormente, risposta alla domanda: «In che modo, attraverso quali volti e circostanze il Signore ti ha illuminato?» e ascoltato le brevi risposte di tre catecumeni.
Tre verbi al centro della veglia
I tre verbi che papa Francesco aveva consegnato a conclusione della GMG di Lisbona, “brillare”, “ascoltare” e “non avere paura”, hanno scandito i momenti della veglia, accompagnata dai canti eseguiti dal coro formato dal Gruppo Shekinah, dai membri di Elikya, del coro CLU, di quello Interparrocchiale di Milano e da altri amici.
Nel primo momento è stata centrale la testimonianza di Camilla Vaghi, diciottenne studentessa di liceo di Scienze Umane, non battezzata da bambina, che a sedici anni ha iniziato a fare l’educatrice all’oratorio della Visitazione di Maria Vergine a Pero. Avvicinarsi alla Chiesa, ha raccontato, «mi ha fatto scoprire il vero significato dell’amore, dell’amicizia, dell’accoglienza, che prima non ero mai riuscita a capire fino in fondo».
La Trasfigurazione e i desideri dei discepoli
Nella seconda parte, “Ascoltare” non ha significato solo udire di nuovo il Vangelo della Trasfigurazione secondo Matteo, ma anche rispecchiarsi nei tre tipi di desideri che, secondo monsignor Delpini, sono rappresentati dai tre discepoli che Gesù ha invitato a salire sul monte, per quel momento intimo in cui ha rivelato loro che la sua gloria è ben più grande di ogni aspettativa.
«La trasfigurazione chiama i discepoli e i loro desideri ad essere trasfigurati», ha spiegato il vescovo: essa rivela che l’amicizia, di cui è simbolo Giovanni, è «vocazione a rimanere così profondamente unito a Gesù da sperimentare non solo come sia bello stare insieme, ma come sia la gioia piena, la gioia di Dio». A chi spera di primeggiare, come Pietro, «rivela come il potere, l’incarico, sia la vocazione ad essere umile, a farsi servo di tutti». Al discepolo che similmente a Giacomo fa di tutto per rendersi utile, rivela: «non sei tu che puoi dare qualche cosa a Gesù, ma è Gesù che ti ha arricchito di ogni dono che viene dall’alto».
Quanti hanno accolto l’invito a venire alla Traditio, anzi, a essere discepoli, sono quindi chiamati alla trasfigurazione: «una nuova luce avvolge la nostra vita, una nuova gioia abita nella nostra vita, una parola nuova orienta il nostro cammino».
In adorazione per affidare a Gesù i desideri
La terza parte, «Non avere paura», ha visto la preghiera silenziosa dei giovani davanti a Gesù esposto nell’Eucaristia, come al Parque Tejo di Lisbona, ma anche l’affidamento di cinque ambiti delle loro vite, espressi in altrettante preghiere d’intercessione: lavoro, pace, studio e scelte, fraternità, poveri. Quindi la consegna del Credo, riprodotto su di un cartoncino ottagonale come le piante degli antichi battisteri.
Nel saluto finale, don Giuseppe Como, vicario episcopale per l’Educazione e la Celebrazione della fede e per la Pastorale scolastica, ha dichiarato: «Mi pare di aver capito questa sera che per risplendere sempre, anche nei momenti e nei giorni tempestosi, in quelli più bui, la luce dev’essere dentro». Per questo l’Arcivescovo ha proposto ai giovani di donare quella “goccia” luminosa a qualche «persona che per voi è stata luce» e, come ai catecumeni nel pomeriggio, di procurarsi un Vangelo tascabile e leggerlo per «fare riferimento a Gesù, il Signore che è morto, risorto e che a Pasqua torna a risplendere per noi».