«Auguro che ciascuno di voi possa avere un momento per fermarsi, per adorare il Signore e trovare una sintesi tra la normalità e l’eccellenza: in un contesto che è problematico, la saggezza deve ispirare le nostre scelte». Nella Sesta domenica dell’Avvento ambrosiano, detta della “Divina Incarnazione di Maria”, l’Arcivescovo Mario Delpini suggella così l’incontro all’Istituto Luigi Palazzolo. Prendono parte tanti ospiti della struttura: operatori, volontari, tra cui gli Alpini sempre presenti, la diaconia – con le Suore delle Poverelle e le Suore della Carità che si occupano del servizio infermieristico -, i vertici della struttura e della Fondazione Don Carlo Gnocchi.
Tutti riuniti per quella che viene definita «una festa della gioia» per l’Eucaristia presieduta dal vescovo Delpini nella grande chiesa interna all’Istituto e concelebrata dal presidente della Fondazione, don Enzo Barbante e dal cappellano del “Palazzolo” e don Enzo Rasi che porge il saluto di benvenuto, ricordando l’ininterrotta presenza di monsignor Delpini nell’imminenza del Natale. Accanto in altare il diacono permanente Sergio Legramandi, che svolge servizio pastorale all’Istituto. Non mancano tra i fedeli il direttore generale della “Don Gnocchi”, Francesco Converti, il direttore dell’Area Territoriale Nord della Fondazione, Antonio Troisi, direttore anche dell’Istituto, la direttrice sanitaria, Federica Tartarone, rappresentanti delle altre realtà milanesi della Fondazione.
Dal tradizionale Vangelo di Luca della VI domenica, con l’annuncio dell’angelo a Maria e quel “rallegrati”-kaire”, che è carissimo all’Arcivescovo, prende avvio l’omelia nella Messa che, per la prima volta, è animata dal coro dei giovani della parrocchia Sacro Cuore di Gesù alla Cagnola.
L’angelo mandato da Dio al Palazzolo
«Io credo che l’angelo della gioia fu mandato da Dio anche qui, a portare il suo messaggio, “rallegrati”», dice, infatti, il vescovo Delpini. «Entrò, ma nella stanza c’era una signora triste che così si rivolse all’angelo: come posso rallegrarmi, se sono sempre sola e abbandonata da tutti?». È la volta della stanza di una persona arrabbiata, che non vuole vedere nessuno, perché tormentata dal dolore e assediata «dalla morte che si avvicina»; così, l’angelo è respinto anche dall’orgoglioso che «non ha bisogno di niente e di nessuno».
E via via, proseguendo in una serie di mortificazioni e fallimenti, l’angelo tenta di portare il suo annuncio di gioia a «medici e operatori indaffarati, negli uffici di direttori e impiegati, «preoccupati di far quadrare il bilancio e per le carte da compilare». Insomma, nelle stanze di tutti coloro che hanno troppo da fare per ascoltare un angelo. Che, allora, «interdetto e umiliato» torna dall’arcangelo Gabriele che saggiamente sorride e osserva: «Non basta dire, ‘rallegrati’. La gente penserà che sei un angelo che va bene nei giorni di festa, nei momenti di salute, nelle parentesi di euforia, quando tutti sono sani, giovani, belli, ricchi. Il. Il messaggio completo è: “rallegrati, amato da Dio, il Signore è con te”. Se non è presente il Signore non ci può essere vera gioia».
«Io credo – conclude l’Arcivescovo – che, in questi giorni, l’angelo della gioia si aggiri al “Palazzolo” e che, forse, questa volta la sua missione avrà successo».
L’incontro i dirigenti e gli operatori
Nel grande salone normalmente adibito a spazio comune e bar, l’incontro con i vertici e i lavoratori, per delineare brevemente quanto fatto durante il 2023. «Stiamo cercando di fare in modo che la presa in carico nei nostri 4 Centri di Milano -“Palazzolo”, “Santa Maria Nascente”-Irccs, “Girola” e “Peppino Vismara” – sia sempre più significativa, riposizionando dal punto di vista territoriale il tema della fragilità», spiega Troisi che parla di un ritorno, finalmente, «alla normalità», dopo il tragico periodo del Covid.
Un riferimento sottolineato e condiviso da Tartarone. «Il Palazzolo, lentamente ma con costanza, ha continuato nel difficile percorso di ritorno alla normalità per cui vediamo un sentiero ben tracciato e la meta. Abbiamo avviato percorsi di differenziazione e specializzazione e siamo tornati a pieni numeri, contribuendo anche a fronteggiare emergenze improvvise come l’accoglienza offerta a ospiti della “Casa per Coniugi” (andata a fuoco nel luglio scorso n.d.r.), alcuni dei quali sono ancora con noi».
«La ricchezza non è solo nelle attività assistenziali ma anche in quelle che promuovono il benessere lavorativo di coloro che qui collaborano e lavorano, nonostante la grave difficoltà di reperire personale. E tutto per fare sentire come l’opera di don Carlo Gnocchi sia ancora oggi viva ed entusiasta», evidenzia la direttrice sanitaria.
La vocazione della Fondazione don Gnocchi
Il direttore Converti, da parte sua, ricorda rivolgendosi direttamente all’Arcivescovo, quando «in diretta, durante una delle nostre quotidiane riunioni dell’Unità di crisi durante la pandemia, lei ci ha telefonato», rincuorando idealmente tutta la «straordinaria squadra fatta delle oltre 6000 persone che ogni giorno lavorano in Fondazione».
Infine, è don Enzo Barbante a indicare il senso complessivo dell’incontro «che significa incontrare tutta la Fondazione con i suoi tanti protagonisti, gli ospiti, il personale, il Consiglio di Amministrazione e la direzione al completo, i volontari, i giovani del Servizio civile, le Associazioni che ci accompagnano, i familiari, gli Alpini. Un segno che ancora di più rinnova la testimonianza dell’annuncio che il Verbo si è fatto carne e ha assunto la fragilità. Questo è espressione di una consapevolezza che, come Chiesa, vogliamo sempre più avere nel cuore, da non perdere mai per essere protagonisti e continuatori dell’opera di don Carlo, oltre l’efficienza, la capacità, l’eccellenza». Un’eccellenza che si tocca con mano, anche solo a guardarsi in giro.
La realtà del Palazzolo
Acquisito 25 anni fa dalla Fondazione, oggi l’Istituto è, infatti, una delle realtà cittadine fra le più complesse e dimensionate, dotata di un’offerta completa e integrata di servizi, sia in area sanitaria (Casa di Cura) che socio-assistenziale (RSA per anziani, con nucleo specialistico per persone affette da Alzheimer, pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza, malattie neuromuscolari; Hospice e Unità Operativa di Cure Intermedie).
Forte è anche il radicamento nel territorio con proposte innovative per il cittadino fragile e la sua famiglia attraverso un Centro Diurno Integrato, Cure Domiciliari, RSA aperta). Presso l’Istituto sono attivi, inoltre, un Ambulatorio Polispecialistico e un Servizio di Riabilitazione Ambulatoriale, entrambi punti di riferimento per la popolazione del Municipio e della Città.
Viviamo in un mondo ingiusto
Tutto ciò per cui, al termine, l’Arcivescovo dice: «Ho ascoltato più volte la parola “normalità” che mi dà molto da pensare perché ho imparato che qui la normalità è l’eccellenza, come viene dimostrato da ciò che posso vedere. Di questo puntare all’eccellenza, e non soltanto alla sopravvivenza, all’inerzia e alla ripetizione, desidero ringraziarvi. Dobbiamo, però, anche realisticamente considerare che viviamo in un mondo sconcertante: non è normale che ci sia tanta solitudine a Milano, che le professioni che si dedicano all’assistenza e alla cura non siano adeguatamente retribuite, che il sistema nel complesso rischi di mortificare la dedizione al bene per investire invece sul bene del capitale e dell’apparenza. Viviamo in un modo acciaccato, malato, a volte profondamente ingiusto che pone più ostacoli che incoraggiamenti per chi vuole fare il bene, che prevarica. Questa frizione ci dice che dobbiamo fare i conti con il senso del nostro limite, dell’ingiustizia, dell’impotenza, dell’inadeguatezza. Curiamo moltissime persone, ma non risolviamo i problemi di tutti: saperlo ci aiuta a vivere tutti i giorni nella consapevolezza che questa vita è visitata da Dio e che il Natale non è costruire fantasie infantili, ma incontrare Gesù».
Con la preghiera da lui stesso composta (e che legge), per l’immagine natalizia rappresentante un particolare della vetrata del Duomo di Milano della Natività, giunge l’augurio: «Non preoccuparti di che cosa devi dire, fermati ad adorare. Non affannarti per quello che devi fare, fermati ad adorare».