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Sirio 15 - 21 luglio 2024
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In Duomo

Delpini ai membri del clero defunti: «Grazie per avere detto il vero»

Alla vigilia della solennità del Sacro Cuore, Giornata della santificazione sacerdotale, la Messa in suffragio dei consacrati scomparsi durante l’anno. L’Arcivescovo: « Nell’assedio delle chiacchiere, delle parole inutili e cattive, siamo grati a chi ha testimoniato la verità»

di Annamaria BRACCINI

7 Giugno 2024

«Siamo qui a dire la nostra gratitudine perché ci sono state persone che hanno continuato la storia della testimonianza della verità, perché c’è qualcuno che si fa avanti e dice il vero: così si può uscire dallo sgomento e dallo smarrimento». Nella celebrazione in cui si fa «doverosa memoria con riconoscenza» di sacerdoti, religiose, religiosi e consacrati defunti durante l’anno, a dire il suo «grazie» a nome di tutta la Chiesa ambrosiana è l’Arcivescovo, presiedendo il rito nella cappella feriale del Duomo.

L’Arcivescovo durante la celebrazione

Alla vigilia della solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù – in cui ricorre la Giornata mondiale della santificazione sacerdotale – sono oltre 20 i concelebranti, tra cui due Vescovi (il Vicario generale monsignor Franco Agnesi e monsignor Luca Raimondi), alcuni membri del Consiglio episcopale milanese e i canonici del Capitolo metropolitano della Cattedrale. Sono 44 i presbiteri scomparsi nell’annata di cui il Moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti, legge in apertura i nomi – il primo è quello del sacerdote ambrosiano e Vescovo emerito di Pavia, don Giovanni Giudici -, cui si aggiungono 4 diaconi permanenti, 13 religiose e un pari numero di religiosi, 9 appartenenti a Istituti secolari. A tutti coloro si riferisce l’omelia dell’Arcivescovo, «perché venga a noi un po’ di luce», di fronte al buio di un mondo fatto spesso solo di chiacchiere.

I concelebranti

L’omelia dell’Arcivescovo

«Siamo invasi, assordati dalle parole inutili, da quelle che non dicono niente, rassegnati, feriti dalle parole cattive, gridate, offensive, le parole che insultano, che dividono le famiglie, i partiti, i popoli. Sconcertati dalle parole che seminano disprezzo, confusione, che mettono in ridicolo tutto e che lasciano le persone buone mortificate solo per il fatto che non hanno la risposta pronta. Le parole che parlano di solo cattive notizie e di orribili malvagità, che dicono e negano, promettono e ritrattano, mettono tutto in confusione».

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Eppure, è in questo universo complicato che «si presenta un testimone che ha visto il cuore trafitto, l’ultimo insulto della crudeltà e l’ultimo dono dell’Agnello immolato», prosegue in riferimento alla pagina del Vangelo di Giovanni con la narrazione di Cristo morto sulla croce. Una croce che richiama al senso ultimo del vivere. Per questo, «siamo grati a coloro che, nell’assedio delle chiacchiere, delle parole inutili e cattive hanno saputo dire il vero: hanno indicato la direzione verso la quale si deve volgere lo sguardo se si vuole trovare la salvezza. Di tutte le infinite parole pronunciate o scritte da un prete, resteranno le parole che dicono il vero, che aiutano a guardare a Gesù».

Un insegnamento – questo – venuto, appunto, da tanti presbiteri, «alcuni, forse, famosi predicatori, altri uomini modesti nella comunicazione: alcuni affascinanti, altri persino noiosi, ma quello che importa, alla fine, è che abbiano detto il vero».

I fedeli nella cappella feriale del Duomo

La testimonianza della verità

«Coloro che ci hanno preceduto ci dicono di non lasciare tanto spazio alla banalità e ci chiedono perché diciamo parole di disprezzo. La morte, che ha creato questa separazione per quanto è possibile vedere, è un intervallo che può insegnarci la sapienza di non dire cose inutili e cattive. Parlare serve per dire il vero. Loro sono stati i testimoni del mistero di cui parla Paolo nella Lettera agli Efesini – appena proclamata nella Liturgia della Parola -, «non per dire qualcosa che non si capisce o una dottrina da imparare, ma la verità che supera ogni conoscenza e che va al di là di ciò che si può pensare, non perché implichi un’intelligenza acuta, ma perché è il mistero dell’amore di Dio. Siamo qui anche a rallegrarci perché, per loro, la porta si è aperta, il velo del tempio si è squarciato e hanno già potuto vedere la verità che si è rivelata come un abbraccio. Sono entrati nel cuore del mistero: preghiamo perché da questa luce venga a noi un po’ di luce, da questa gioia venga a noi un po’ di gioia».

 

Dopo le Litanie dei Santi cantate in ginocchio da tutta l’assemblea – tra cui tante consorelle delle religiose e consacrate defunte, amici e parenti degli scomparsi -, a conclusione della celebrazione, il pensiero dell’Arcivescovo torna alla gratitudine «per la testimonianza che questi fratelli e sorelle ci hanno offerto che è anche una professione di fede perché chi vive e muore nel Signore, con Lui risorge».