«Che cosa c’è nel cuore di un uomo che si sveglia al mattino e dice “oggi vado a uccidere degli innocenti, a mettere una bomba là dove si vive, si mangia, si beve, si dorme, si prega”, cosa c’è?». Parte da un interrogativo «sull’enigma incomprensibile», la riflessione che l’Arcivescovo rivolge ai fedeli – medici, personale, malati e parenti – riuniti per la celebrazione eucaristica da lui presieduta nella chiesa dei Santi Martiri, interna alla Clinica “Luigi Mangiagalli” – Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico.
La visita ai reparti
Una visita, quella dell’Arcivescovo – parroco del Policlinico -, che è ormai divenuta una tradizione consolidata nei giorni che precedono il Natale e che intende sottolineare anche la festa liturgica dei Santi Martiri Innocenti, che ricorre il 28 dicembre. Una visita articolata. Dapprima monsignor Delpini, accolto da Marco Giachetti (presidente della Fondazione Irccs e della Fondazione Patrimonio Ca’ Granda), benedice il presepe presso il Palazzo Uffici del Policlinico. Poi prosegue in alcune aree dedicate dell’ospedale, con il saluto al personale e ai pazienti. Tra cui il primo e il secondo reparto del Padiglione “Guardia” – Medicina ad alta intensità di cura, Chirurgia di urgenza e Cardiochirurgia -, il Padiglione “Sacco” per la Psichiatria e, infine, il “Granelli”.
A conclusione della mattinata la Messa, concelebrata dai quattro cappellani (don Giuseppe Scalvini, don Marco Gianola, don Norberto Gamba e don Mario Cardinetti) e dai sacerdoti che, da seminaristi, hanno prestato servizio al Policlinico. Sono presenti i vertici della Fondazione, malati, medici, infermieri, con le suore, l’ausiliaria diocesana, il diacono permanente, ossia la cappellania al completo del Policlinico. Anche quest’anno è stato organizzato il Concorso Presepi (vi si sono iscritti una ventina di reparti), che, spiega don Scalvini, «vuole sollecitare i reparti stessi affinché si renda presente il Natale attraverso un segno religioso; per entrare con una presenza cristiana là dove la gente lavora e, soprattutto, soffre ed è curata».
Ed è lo stesso cappellano a chiedere all’Arcivescovo nel suo saluto di benvenuto «di suggerire come fare a prendere un momento di riposo (come chiede la Proposta pastorale 2024-2025 e come ripete il Discorso alla Città) «in ospedale dove le condizioni ci chiedono di essere sempre all’erta». La risposta arriverà a conclusione della celebrazione, mentre l’omelia approfondisce il senso del soffrire e, appunto, dell’enigma della malvagità umana, in un mondo «dove il potente è troppo prepotente, il tiranno è troppo spietato».
L’enigma della malvagità
Da Erode al terzo millennio, la domanda è sempre la stessa: «Cosa c’è nel cuore di un uomo che manda a uccidere tutti i bambini?». «Di fronte all’enigma incomprensibile restiamo smarriti. Forse la sociologia può far luce là nell’ombra della morte, spiegarci le dinamiche che portano a queste cose terribili; forse la psicologia può indagare sui mostri che abitano dentro il cuore umano e lo spingono a essere così crudele, forse la storia può mettere in luce il concatenarsi degli eventi che produce questi effetti devastanti fino a mettere a morte l’innocente», scandisce l’Arcivescovo. «Il bambino, l’uomo, la donna che non possono difendersi, di fronte all’enigma incomprensibile. Noi, pure con tutte le competenze scientifiche restiamo smarriti. Cosa facciamo dunque? C’è anche chi chiude gli occhi e si rassegna ad abitare nelle tenebre e nell’ombra di morte; c’è chi finisce per convincersi che l’unica cosa da fare per i deboli è di rassegnarsi al potere dei forti. C’è anche chi si convince che non c’è niente da dire ed è scettico su tutto».
L’annuncio della consolazione
Ma c’è poi l’annuncio della rivelazione di una gloria abbagliante, perché «non siamo destinati alla rassegnazione, non siamo chiamati a vivere per morire, da giovani o da vecchi, da sani o da malati. Noi non siamo chiamati alla rassegnazione alla morte, perché siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo, come dice san Paolo nella Lettera ai Romani appena proclamata, chiamati alla partecipazione della sua gloria. La risposta al dolore innocente è la gloria di Dio, che avvolge di luce, non è una rivincita, una vendetta: è Gesù che ci indica la via di essere pellegrini della speranza, gente che ascolta la promessa di Dio e perciò si mette in cammino che vive la vita come un pellegrinaggio. Che crede che l’insopportabile ingiustizia troverà al giustizia di Dio. Dunque, la gloria delle vittime, degli sconfitti, degli umiliati, degli innocenti uccisi, uccisi da lattanti e ancor prima di nascere».
E, allora, cosa succederà quel giorno, quando coloro che sono stati uccisi si incontreranno con coloro che li hanno uccisi?». Il riferimento è all’anno giubilare che, nella nostra Diocesi, inizierà il 29 dicembre: «Ecco il Giubileo dovrà raccogliere questo grido, dovrà farsi provocare da questo dolore. E la gente che vive in ospedale, che qui lavora, che accoglie tante sofferenze, potrà sentire la consolazione che viene da Dio che dirà: “Benedetto, benedetta tu che hai recato sollievo, tu che hai dato la salute, tu che hai accompagnato con serenità i momenti difficili, tu che hai sorriso a chi richiede un motivo per sperare”».
Alla fine il pensiero dell’Arcivescovo va «alla domanda rimasta inevasa» del cappellano don Scalvini: «Nel mio Discorso alla Città volevo soprattutto parlare alle istituzioni, perché sono queste che devono assicurarsi che coloro che lavorano abbiano i ritmi e i tempi giusti per riposare. Vorrei scrivere un testo sull’arte del riposare».