Il male assurdo che ci circonda con le sue guerre, il martirio dei piccoli, la morte degli innocenti, i rapporti tra le persone pieni di odio, ma anche la sovrabbondanza dell’amore che vince e che apre alla speranza. Nella festa dei Santi Martiri Innocenti, come ogni anno, l’Arcivescovo visita alcuni reparti dell’Ospedale Maggiore Policlinico e presiede l’Eucaristia nella chiesa interna alla clinica “Luigi Mangiagalli”, intitolata ai Santi Martiri.
La visita
Dopo essere entrato, come prima sosta, nel Padiglione Ponti, presso l’accettazione e l’ambulatorio dei prelievi del sangue, portando la sua benedizione al personale e a chi era in attesa anche alle casse, l’Arcivescovo – accompagnato dai cappellani don Giuseppe Scalvini e don Marco Gianola e dal presidente della Fondazione Irccs Ca’ Granda, Marco Giachetti – ha attraversato il Padiglione Marcora, reparto ematologia. La visita è proseguita, infine, alla “Mangiagalli”, nel reparto “Suor Giovanna” di chirurgia ginecologica e dedicato ai piccoli interventi, con una preghiera e la benedizione delle degenti nelle camere.
Un momento articolato e prolungato, come sempre intenso di preghiera, che ha preceduto il trasferimento al cantiere del Nuovo Policlinico, che proprio in questi giorni, ha raggiunto – nei tempi previsti – il tetto del primo blocco del Central Building grazie al lavoro quotidiano di oltre 300 tra maestranze e operai impegnati sui 23 mila mq dello spazio di edificazione. Camminando tra transenne, elementi di costruzione e materiali, mentre Giachetti illustrava i lavori, la visita ha trovato il suo apice, in tutti i sensi, nella salita con un montacarichi al tetto da cui si gode una vista mozzafiato su Milano, la grande città che l’Arcivescovo, munito come tutti di caschetto di protezione, ha benedetto.
La celebrazione
Infine, la conclusione della mattinata con la Messa, concelebrata da una decina di sacerdoti, presenti i vertici della Fondazione, malati, medici, infermieri, e la cappellania al completo con le suore, l’ausiliaria diocesana, il diacono permanente, i due seminaristi della IV teologia che prestano servizio al Policlinico, i tre cappellani Gamba, Gianola e Scalvini. È quest’ultimo a porgere il saluto di benvenuto, dicendo: «Siamo contenti davvero di essere qui con lei, vescovo Mario, a celebrare questa Eucaristia. Oggi sono con noi anche coloro che, come seminaristi, si sono succeduti negli anni, segno di una vitalità per cui vogliamo dire grazie. Le chiediamo di aiutarci nel presente a capire cosa Dio ci sta chiedendo. Un ospedale è una realtà che sa radunarsi, sapendo che oggi si dà e domani si riceve».
L’omelia
«Siamo sconcertati dall’eccesso, dall’esagerazione, spaventati dall’incombere di un peso troppo gravoso, di un male troppo grande, di un abisso troppo insondabile – scandisce in apertura della sua riflessione monsignor Delpini (leggi qui il testo dell’omelia) -. Le notizie ci rendono presente il male della guerra, dell’accanirsi della violenza: i cattivi sono troppo cattivi, fanno troppo male, gli stupidi sono troppo stupidi, le opere insensate troppo insensate, le risorse sperperate».
E così anche per i fatti della cronaca quotidiana che «raccontano di una assurdità troppo assurda, di atti di violenza troppo violenti nei rapporti tra uomo e donna, nei comportamenti tra coetanei, nelle reazioni troppo arrabbiate. Ma anche nelle vicende personali che talora incrociamo, quando il male si accanisce e una persona malata è troppo malata e il dolore è troppo doloroso, quando su una persona, in una famiglia, si accumulano troppe disgrazie».
Che fare, allora, di fronte a tanto male? Quattro gli atteggiamenti cui fa riferimento l’Arcivescovo: «Alcuni reagiscono all’eccesso con l’eccesso. Alcuni circondandosi di indifferenza: qualunque cosa capiti, io non c’entro, mi chiudo nel mio castello inaccessibile. Non mi turba il male, il dolore degli altri, perche non voglio pensarci. Alcuni reagiscono con lo scoraggiamento paralizzante: se curo un malato e mi bombardano l’ospedale intero, non c’è speranza. Altri con la disperazione depressa o arrabbiata contro tutto e contro tutti».
Anche «la celebrazione del martirio dei Santi Innocenti è una festa paradossale e dice che l’eccesso del male è entrato nelle pagine del Vangelo, nella storia di Gesù. Gesù ha abitato l’eccesso, ma, di fronte alla esagerazione del male, ha esagerato nell’amore. L’esagerazione nell’amore non è una teoria generale, un modo di pensare che tenta di fare un mosaico di tutto ciò che succede per cui tutto, alla fine, si ridimensiona: è invece una relazione personale che si è compiuta nel frammento di una storia breve. L’amore esagerato si è avvicinato a ciascuno con una parola amica, con una mano che accarezza, con una presenza che condivide. L’intervento di Dio che entra nell’abisso sconfigge l’abisso chiamando per nome chi e stato inghiottito dall’abisso rendendo possibile il rapporto personale con Lui. La vocazione di ciascuno a essere figlio di Dio sconfigge l’eccesso del male».
Per questo si può ancora e sempre sperare: «L’amore esagerato è entrato nel dramma della storia e del mondo per condividerne il gemito della creazione, con un principio di speranza invincibile, perche non si ferma sull’orlo dell’abisso. Noi ci sentiamo schiacciati, talvolta, ma siamo qui per intravvedere la via di Gesù che diventa sollecitudine per ogni persona e speranza per tutti».