In occasione della pubblicazione della Proposta pastorale, Unita, libera lieta. La grazia e la responsabilità di essere Chiesa, abbiamo chiesto all’Arcivescovo il senso e i motivi portanti di questo suo pronunciamento che guiderà la vita della Chiesa ambrosiana nell’anno pastorale 2021-2022.
I tempi tribolati che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo possono essere occasione per praticare la speranza, testimoniare la carità, restare saldi nella fede, come lei scrive nella sua proposta pastorale per l’anno 2021/2022, in riferimento anche al messaggio dei Vescovi di Lombardia, «Una parola amica». Quali sono i percorsi di sapienza per imparare a vivere e a essere più incisivamente presenti in questa stessa vita?
La Chiesa ha un criterio per avviare l’anno pastorale e per percorrerlo: quello della docilità. Non siamo noi i creatori di un nuovo messaggio, ma siamo mandati per annunciare il messaggio di Gesù, quindi è lo Spirito di Dio che segna i nostri passi con la Parola del Vangelo.
Perché ha scelto i brani del Vangelo di Giovanni nei capitoli, molto specifici, dal 13 al 17?
Questa è una sezione del Vangelo di Giovanni molto ricca e che offre materiale per un approfondimento. Tuttavia vi sono anche motivi specifici. Il primo è il tema dell’amicizia. Questi discorsi non sono rivolti alle folle, non riportano polemiche con capi religiosi o politici, non sono spiegazioni di parabole: sono confidenze di Gesù con i discepoli amici. Mi pare importante che noi come Chiesa – sempre impegnati in molti aspetti organizzativi, pastorali e nell’interpretazione di quello che succede nella società -, ci sentiamo ammessi all’amicizia di Gesù che è presente, che è vivo, che ci parla, ci consola, risponde alle nostre domande. In un tempo in cui molte inquietudini continuano ad attraversare il pensiero, le parole, la società, noi vorremmo entrare nell’amicizia con Gesù. Inoltre, qui ho trovato delle parole che indicano la sostanza della vita pastorale e, quindi, i tratti fondamentali della Chiesa, come i temi della gioia e della libertà. «Siete nel mondo ma non del mondo» (si legge nel Vangelo) per dire ai discepoli che occorre prevedere anche le ostilità, le reazioni negative, ma che si può uscire dal mondo, ma dobbiamo rimanervi come liberi figli di Dio. Terzo, il tema dell’unità: «Siano una cosa sola perché il mondo creda», per indicare che la missione, prima che essere una cosa da fare, è l’irradiazione della speranza che uomini e donne possano essere fratelli tutti, una cosa sola. È questo il modo con cui possiamo incoraggiare la fede dei nostri contemporanei.
Nella Proposta si parla di unità e di pluriformità nell’unità. Cosa significa questa espressione che lei collega alla prassi di un ecumenismo di popolo e a esperienze che sono già presenti nella nostra Diocesi da molti anni?
Unita è il tratto della Chiesa che Gesù chiede al Padre e, dunque, essere unita vuol dire che tutti i credenti in lui sono chiamati a essere una cosa sola. La storia ci ha divisi, talvolta anche contrapposti in modo aggressivo e violento, ma noi vorremmo ascoltare lo Spirito che ci riunisce, che ci fa sentire fratelli e sorelle, pur nel rispetto della differenza delle tradizioni, nella complessità delle vicende storiche e nella difficoltà di essere riconosciuti tutti in una forma comunionale perfetta. Gesù prega per questa unità e noi sentiamo la responsabilità di cercarla.
Un interesse specifico è dedicato alle Assemblee decanali sinodali. Cosa sono i Gruppi Barnaba che riceveranno il mandato il 17 ottobre in Duomo nel giorno in cui inizia il Sinodo?
Il cammino per una Chiesa sinodale, che il Papa ha raccomandato con forza e insistenza a tutta la Chiesa e a quella italiana in modo particolare, lo interpretiamo, nella Diocesi ambrosiana, come il dare una realizzazione territoriale e capillare a tale forma sinodale a livello di decanato, trovando i linguaggi e le iniziative della missione in quel territorio e raccogliendo in unità tutti i credenti cristiani cattolici nella Chiesa dalle genti. Il Gruppo Barnaba è uno strumento per arrivare a questa Assemblea sinodale decanale: è un cammino che si apre, non un risultato già predisposto. Bisognerà creare occasioni di ascolto, di discernimento e di decisione che diano volto sinodale alla nostra Chiesa dentro la Chiesa italiana e universale: Ci sentiamo uniti al cammino della Chiesa universale che apre il Sinodo dei Vescovi proprio il 17 ottobre e ci sentiamo accompagnati dalla Chiesa italiana che offre strumenti, occasioni, scadenze proprio per realizzare questi percorsi sinodali.
Lei ha detto: «Una Chiesa che è nel mondo ma non del mondo». Una Chiesa libera, quindi. Oggi la Chiesa non le sembra libera, per esempio riguardo al tema, che cita esplicitamente, di annunciare il Vangelo della famiglia?
La Chiesa mi sembra abbastanza libera. È chiaro che quando si dice «Chiesa» si intende l’insieme dei cristiani cattolici dentro una varietà di posizioni. L’appello alla libertà è per incoraggiare la Chiesa a non lasciarsi troppo condizionare dalle reazioni antipatiche che può suscitare l’annuncio. Per il tema della famiglia, per esempio, noi sentiamo la responsabilità di annunciare la famiglia secondo il progetto di Dio, mentre oggi mi pare che, in alcune espressioni, si tende a parlare non di famiglia, ma di famiglie e di immaginare altre forme rispetto a quello che l’insegnamento cristiano presenta: altre forme per il convivere senza una rilevanza pubblica, senza un’integrazione dei diversi generi, senza un impegno alla generazione secondo la tradizione della Chiesa e l’insegnamento della morale cristiana. Su questi tre capitoli – la rilevanza ecclesiale del rapporto tra uomo e donna, la differenza di genere come elemento costitutivo della famiglia e l’apertura alla generazione come implicita vocazione delle famiglie – le posizioni oggi sono differenti e, talvolta, anche polemicamente diverse rispetto all’insegnamento della Chiesa. È chiaro che la Chiesa fa i conti con queste sensibilità diverse, entra in dialogo e ripropone quella verità cristiana che è la vita del Vangelo.
Il filosofo Friedrich Nietzsche diceva che avrebbe creduto di più al cristianesimo se avesse visto i cristiani più felici e più cristiani felici. Lei come ultimo aggettivo ha scelto, per il titolo della sua proposta, «lieta», la Chiesa lieta di una gioia che non è l’emozione di un momento ma «un habitus che dona energia spendibile a livello individuale, familiare e sociale». Quali strade percorrere per questa rinnovata energia?
Questo aggettivo, che ho messo come terzo, in realtà è il primo perché mi pare che l’azione pastorale comincia con la gioia, cioè diventa un modo con cui si condivide la grazia che si è ricevuta. È il punto di partenza per poter essere missionari credibili e per poter essere cristiani riconoscibili. La via per la gioia non è un qualche esercizio ascetico, qualche doverosa esecuzione di un comandamento, ma è l’apertura alla grazia. La Chiesa – cioè – è lieta perché riconosce di essere amata come la sposa è amata dallo sposo e i singoli cristiani sono lieti perché entrano in quella amicizia con Gesù da cui viene la nostra gioia. Come fondamento di questa possibilità di essere lieti c’è soltanto questo: essere uniti a Gesù e ricevere il dono dello Spirito che Gesù ci offre. La gioia è un dono di Dio prima che una “faccia” da presentare per incoraggiare gli altri.
Nell’omelia del Pontificale solenne per l’apertura dell’anno pastorale ha detto che la Proposta vuole orientare tutti noi a essere testimoni credibili che percorrono le strade, che vivono la Chiesa, che visitano le comunità, che sanno stare vicino ai più deboli, ai più poveri, ai più bisognosi e soli, nella logica dell’Enciclica Fratelli tutti. È questo a cui dobbiamo tendere come Chiesa unita, lieta e libera?
Sì. La Proposta pastorale vuole essere un annuncio di incoraggiamento e di fiducia. Come ribadisco spesso, non ho una proposta che identifica ogni anno un tema specifico o una realizzazione particolare: la vera proposta pastorale è l’anno liturgico che, dispiegando nel tempo il mistero della Pasqua di Gesù, realizza tutti i frutti che Gesù vuole che noi portiamo. Chi rimane in lui porta molto frutto e il frutto è questa gioia, questa libertà, questa comunione ecclesiale in cui possiamo offrire al mondo una parola di speranza.