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Sirio 01 - 10 novembre 2024
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In Duomo

Delpini: «La nostra gioia è stare con Gesù vivo»

Il Vicario generale ha guidato la quarta e ultima tappa della Via Crucis. Contro «i cultori del pensiero beffardo» che incoraggiano «il suicidio di questa splendida civiltà», il suo auspicio è che il volto della Misericordia ci renda consapevoli di avere «dentro un fuoco e un desiderio di seguire Gesù fino alla fine»

di Annamaria BRACCINI

15 Marzo 2016

Il volto della Misericordia che illumina la notte della ragione e dei sentimenti in un mondo dove sembrano prevalere «i cultori del pensiero beffardo e i collezionisti di luoghi comuni». La quarta tappa della Via Crucis in Duomo – che porta molti fedeli a percorrere le Stazioni XII, XIII e XIV fino al sepolcro di Cristo, tra le navate della Cattedrale avvolta dalla penombra – è tutta un invito a vedere «la gloria di Dio che riempie il cielo e la terra», contro quegli «alleati della nera signora che pensano che il sepolcro sia la conclusione ineluttabile e la vittoria indiscutibile della morte».

Lo scandisce il Vicario generale monsignor Mario Delpini, che porta la croce fino all’altare maggiore (il cardinale Scola è a Genova per partecipare al Consiglio permanente della Cei), seguito dai fedeli della Zona pastorale I (Milano), dagli aderenti all’Azione Cattolica, alla Prelatura dell’Opus Dei, alla Legio Mariae, al Movimento Apostolico e ai Legionari di Cristo, specificatamente invitati a questa ultimo momento del Cammino catechetico della Quaresima 2016, proposto all’intera Diocesi.

E così il richiamo, ripetuto più volte, si fa quasi invocazione a non soccombere «ai cultori del pensiero beffardo», appunto, «che si prendono gioco di voi, vi coprono di ridicolo per la vostra speranza affidata a un uomo che è già morto; ai  figli della notte che si compiacciono nel constatare la sconfitta di Colui che si è dichiarato luce del mondo e coprono di ridicolo i suoi seguaci; agli amici della nera signora che vedono questo sepolcro come le fauci del nulla insaziabile che inghiotte ogni vivente e coprono di ridicolo quelli che vivono sperando un’altra vita».

Riflessione dura, ma necessaria, in un mondo nel quale non vi è solo il tragico martirio del sangue di chi è perseguitato con la violenza e condannato a morte, con discriminazioni e limitazioni della libertà, ma dove anche si insinua il martirio della pazienza di chi «è perseguitato con il ridicolo, con il pregiudizio indiscutibile, con il disprezzo». Insomma noi cristiani, anche delle terre ambrosiane, che non rischiamo la vita, ma certamente sentiamo, talvolta, la fatica e l’impotenza a fronte di un pensiero dominante che «rivendica come intelligente, originale e moderno il diritto di essere infelici, trattando da stupidi e antiquati i figli della luce, coloro che adorano di Dio». Quei cristiani «assediati dalle battute della banalità», che siamo noi, appunto, «discepoli forse troppo timidi e troppo maldestri, ma discepoli», capaci, comunque, in una sera gelida, di radunarsi in Duomo per una speranza affidabile, «con dentro un fuoco, un fremito e una specie di passione, un desiderio di poter seguire Gesù, fino alla fine». Proprio perché vediamo che, con quel sepolcro – come dice una splendida poesia di Mario Luzi, scelta tra le testimonianze – «comincia un’era nuova». Tempo non di conquista, ma di gioia, da vivere con la fierezza di accettarne la sfida. «Non siamo ingenui, non siamo spavaldi, non siamo presuntuosi: abbiamo fatto errori, mettiamo nel conto anche sconfitte, torniamo talora feriti e umiliati dal confronto con gli abissi e con l’insulto, ma abbiamo dentro una forza, un fuoco, un ardore che non si spegne, perché la nostra gioia è stare con Gesù vivo e siamo vivi, vivi della vita di Dio».

Per questo si può portare la bellezza della sequela, ogni mattina in ogni ambiente, appassionarsi al bene, fare festa per chi si sposa «contemplando in questo amarsi di un uomo e di una donna, il Dio che si fa storia», salutare chi lascia questa terra con un “arrivederci”, aggiustare il mondo e medicare ferite, «grati di scoprire che c’è anche chi aggiusta anche noi e medica le nostre ferite».

«Ardenti di una speranza di vita eterna, la vita di Dio, ci piacerebbe che ardesse di tale speranza anche la casa che abitiamo, il luogo di lavoro, il vicinato che incontriamo e anche i cultori del pensiero beffardo, perché la smettano di incoraggiare, ridendo e scherzando, il suicidio di questa splendida civiltà», conclude monsignor Delpini, portando, infine, il saluto dell’Arcivescovo ed evidenziando il gesto prezioso vissuto in Duomo, «che ci fa sentire il senso dell’appartenenza», come il Cardinale stesso spesso sottolinea.

Chiesa Tv trasmetterà la Via Crucis in replica alle 18 mercoledì 16 e venerdì 18 marzo.

Nel silenzio del sepolcro,
il Volto della Misericordia

L’icona della quarta e ultima tappa dell’itinerario catechetico di Quaresima rappresenta la Deposizione di Gesù nel sepolcro, antello 98 della vetrata 19 del Duomo di Milano, realizzata nel XIX secolo dalla famiglia Bertini.
Mai il corpo di Cristo e la terra sono stati così vicini, al punto che essa, come fa con tutti, è pronta a inghiottirlo e a nasconderlo per sempre. Il suo corpo è definito dai confini della morte: il capo reclinato di lato, privo di pensieri e di espressioni; il braccio, vuoto di forze, adagiato sul ventre; il corpo pesantemente attratto dalla terra e, in primo piano, beffardi e raccolti in un cesto, gli strumenti della sua presunta vittoria. Il Cristo è un cadavere di cui si può misurare il peso nella fatica di Nicodemo e di Giuseppe d’Arimatea che lo calano nel sepolcro. La morte ha questa tragica forza che trascina verso il basso chiunque, come se godesse nel nascondere in fretta, nel suo nero e sterile utero, il frutto del suo agire: e questo non risparmia nemmeno il Figlio di Dio. Lo spazio, dentro il quale si consuma l’evento è ferito dal «silenzio di Dio». «Tutto è compiuto», anche la voce del Padre sembra tragicamente tacere. Eppure, mai come in questo momento la terra che inghiotte il Cristo si avvicina al cielo; la morte che lo nasconde nel suo ventre è assediata dalla vita; il buio che lo cela sta per cedere alla luce; il silenzio che lo avvolge sta per esplodere in un grido di vittoria. Gli sguardi dei due uomini e di Maria fissi sul Cristo sono eco di cuori sospesi tra un umano dolore e uno stranito stupore, abitati da una trepida attesa, una crescente speranza, un desiderio d’amore, una certezza di vita. Il Risorto sta per rivelare all’uomo il segreto del luminoso volto del Padre: la bellezza della sua misericordia.