Dall’intervista rilasciata a Fabio Pizzul per Radio Marconi
Da lunedì 15 luglio l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, è in visita pastorale in Perù. Sta incontrando i cinque fidei donum ambrosiani, i vescovi e le comunità locali. A metà del suo viaggio, che terminerà il 26 luglio, lo abbiamo sentito in collegamento con Radio Marconi.
Eccellenza, quale clima ha trovato arrivando in Perù, tra l’altro un territorio che aveva già visitato qualche anno fa?
Un clima di partecipazione diversificata. Abbiamo trovato che il Perù è molto differente da una parte all’altra, che nella visione complessiva avrebbe avuto una crescita economica significativa, mentre pare che invece la povertà sia aumentata. Quindi c’è un clima di facciata molto promettente e una realtà piuttosto preoccupante. Nelle comunità cristiane, soprattutto nella città, la partecipazione alle celebrazioni ordinarie si aggira intorno al 5%, con una forte devozione popolare e una certa fatica a guardare al futuro. Però è una Chiesa forte, ben radicata.
Il servizio dei fidei donum ambrosiani testimonia la bellezza delle culture e i diversi modi di fare Chiesa. Cosa si può portare a casa da una realtà come quella peruviana?
Il ruolo dei fidei donum è sempre quello di collaborare con le Diocesi alle quali sono inviati. Si può portare a casa un senso di solidarietà tra i vicini di casa, tra coloro che condividono situazioni di povertà molto più spontanea e diffusa di quella che forse in Italia, nella nostra Diocesi, è piuttosto trattenuta da un certo individualismo. Qui c’è stata una situazione di grande povertà negli anni del Covid: sono nate iniziative che si chiamano «pentola condivisa», un insieme di famiglie che abitano intorno e si organizzano per farsi da mangiare, ciascuno porta qualcosa, chi la pentola, chi il riso e così si tira avanti, però sempre in condizioni molto modeste. Però questo senso di solidarietà semplice e capillare è forse quello che consente di vivere anche nelle periferie delle grandi città, dove c’è una situazione molto degradata, sia di case sia di servizi.
In questo contesto che ruolo ha la Chiesa?
Qui in Perù c’è una tradizione cristiana molto forte, di devozioni molto radicate. Anzitutto per il Señor de los Milagros, che forse è la devozione che unifica tutto il Perù; Santa Rosa da Lima e Martino de Porres, due santi peruviani molto ricordati, e poi tante chiese dedicate alla Madonna. La Chiesa si esprime attraverso questa devozione molto sentita, con manifestazioni popolari evidenti, con un atteggiamento di stima da parte della gente. La presenza della Conferenza episcopale peruviana, pur con le differenze al suo interno, è autorevole e rispettata.
Ha portato qualche messaggio in particolare ai fidei donum ambrosiani?
Noi portiamo il messaggio di imparare, dell’atteggiamento di chi serve, di chi si rende prezioso, di chi condivide i percorsi, anche per caratteristiche tipiche dei preti ambrosiani, di laboriosità, di efficienza, di collegamenti con la nostra Diocesi. Quello che si cerca di esplorare, di imparare da questa Chiesa, è come affrontare le situazioni, come interpretare la povertà, la devozione popolare, la preghiera. Su questo abbiamo molto da ascoltare, più che troppi messaggi da dare, come se avessimo qualcosa da insegnare.
Come è emerso anche nel percorso della Chiesa dalle genti, in Diocesi: essere capaci di ascoltare e di creare relazioni…
Certo, questo è il futuro della Chiesa di Milano: essere capace di caratterizzarsi per l’apporto di tutte le genti che abitano la nostra Diocesi. In questo momento qui in Perù ci sono molti immigrati dal Venezuela, un’immigrazione forzata dalle condizioni quasi disperate di quel Paese. Inoltre ci sono notevoli comunità di italiani o che provengono da altre parti dell’America e anche dell’Europa. Però il tema della multiculturalità non mi pare così evidente.