Dall’intervista rilasciata a Fabio Brenna per Radio Marconi
Nei giorni conclusivi della visita pastorale in Perù l’Arcivescovo e i suoi compagni di viaggio sono tornati alle origini della missione diocesana nel Paese sudamericano, salendo ai 4 mila metri di quota di Huacho, dove i fidei donum ambrosiani sono presenti dal 1989. Anche lì, come altrove, sono stati accolti sempre con grande calore. Ma quale religiosità hanno incontrato nelle comunità visitate in questa seconda parte del viaggio? «Abbiamo avuto una straordinaria accoglienza: festa, canti, molte espressioni di affetto e di devozione – risponde monsignor Delpini -. Devozione verso i santi e anche ricordo dei morti, dei martiri italiani dell’Operazione Mato Grosso, uccisi ai tempi di Sendero Luminoso perché intralciavano quella rivoluzione, e che hanno lasciato una traccia profonda. La devozione dei peruviani è molto tradizionale, legata ai loro santi, come Turibio de Mogrovejo (vescovo di Lima, grande evangelizzatore), Santa Rosa da Lima, San Martino de Porres. E poi la Madonna e il Senor de lo Milagros: una devozione popolare, che coinvolge i sentimenti, il senso di appartenenza».
A Huacho avete incontrato don Antonio Colombo, prete da 60 anni e in Perù da 16. A Sayan avete ricordato l’attività di don Ezio Borsani e di don Vittorio Ferrari, che è morto e ha voluto essere sepolto lì. C’è un tratto unificante che portate a casa dalle diverse esperienze dei fidei donum in Perù?
La storia della presenza dei nostri fidei donum in Perù è lunga e ha coinvolto alcuni preti per tempi brevi, altri più a lungo. Sia a Huacho, sia a Pucallpa credo siano due i tratti caratterizzanti. Il primo, determinante e promettente, è il rapporto con la Chiesa locale: noi non siamo qui per una nostra missione, ma per collaborare alle esigenze della Chiesa che ci accoglie. Questo aspetto a volte può complicare il rapporto, perché non sempre si condividono le prospettive, ma per noi è irrinunciabile. Il secondo tratto, che credo tipico della Chiesa ambrosiana, è la prossimità alla gente: non abbiamo creato grandi strutture o istituzioni, ma ci siamo inseriti nella vita delle parrocchie, con la frequentazione abituale e quotidiana delle persone, l’ascolto, una prossimità affettuosa e generosa.
Avete incontrato anche molti laici. Che cosa dice la loro esperienza in un contesto completamente diverso da quello di origine?
È una testimonianza diversa da quella dei preti, ma molto importante, commovente e apprezzata. Qui la gente desidera un incontro semplice tra le persone. La famiglia è un tema tra i più complicati. Allora può essere proprio una coppia come quella che c’è qui (i coniugi Galbiati a Pucallpa, ndr) a manifestare un tratto familiare che è molto prezioso. Anche le famiglie dell’Operazione Mato Grosso sono presenti con una straordinaria capacità di solidarietà e di prossimità.
C’è un momento, una situazione, una persona o più persone che l’hanno colpita più di altri in questa seconda parte del viaggio?
Nel nostro itinerario siamo passati rapidamente da una situazione all’altra, diverse tra loro, ma ognuna delle quali mi ha molto colpito. Per esempio la traslazione delle spoglie di don Vittorio dal cimitero alla chiesa parrocchiale di Sayàn è stato un evento molto commovente, che dice di un affetto che continua, di un desiderio della gente che sente di poter entrare in chiesa e incontrare, insieme al Signore, anche don Vittorio.
Un altro aspetto che mi ha molto colpito è lo straordinario lavoro compiuto dell’Operazione Mato Grosso a Chacas e nei dintorni, per poi irradiarsi in tante altre località: grandi opere realizzate, attenzione educativa rivolta ai ragazzi con una cura e una professionalità promettente. E poi, a Pucallpa, il rapporto cordiale con il Vescovo e la fiducia che egli manifesta verso i nostri preti, tanto da affidare loro alcuni ambiti molto importanti nella vita della diocesi, come l’economato, la pastorale giovanile e quella vocazionale. Questi tre elementi – l’affetto per i nostri fidei donum, l’impresa compiuta dall’Operazione Mato Grosso e l’inserimento con responsabilità nella diocesi – mi hanno molto edificato.
Da questo suo viaggio missionario cosa riporta a Milano con sé, per sé e per la nostra Chiesa?
Riporto il senso di una grande povertà che richiede attenzioni specifiche e tanta commozione per una forma di carità veramente vicina alle singole persone e alle singole situazioni. La nostra diocesi ha contribuito per esempio alla realizzazione di Casa Santa Teresita, che accoglie anziani, malati, disabili… Delicatezza e pazienza possono essere il vero sollievo, necessario laddove non ci sono rimedi e mancano anche strutture pubbliche che si curino di queste situazioni. Riporto un senso di festa, di accoglienza straordinariamente cordiale. E riporto anche le domande sul senso della missione, sulla possibilità di annunciare Gesù e le implicazioni anche sociali di questo annuncio. Sono domande che ci facciamo in ogni area della Terra: però in un contesto di diseguaglianza sociale, dove è difficile vedere un futuro che promette sviluppo, queste domande sulla missione della Chiesa, sul ruolo dei cattolici, dei laici, diventano ancora più serie.