Tre ambiti per riflettere su questo tempo e sul futuro della Vita consacrata, sul suo ruolo, missione e il suo configurarsi nella Chiesa locale.
Sono le indicazioni che l’Arcivescovo Mario Delpini ha esposto alla quarantina di responsabili di Istituti, tra cui generali e provinciali, che ha incontrato nel Salone delle conferenze dell’Arcivescovado con il vicario episcopale di settore, monsignor Walter Magni, prima della Messa da lui presieduta in Duomo in occasione della XXVIII Giornata Mondiale della Vita consacrata.
Si parte dalla Visita ad Limina dei Vescovi lombardi appena conclusasi, di cui il vescovo Mario illustra alcuni aspetti, essendosi incontrato con quindici Dicasteri tra cui anche quello per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita apostolica.
La Visita ad Limina
Una visita, nel complesso caratterizzata dall’«ascolto, mentre in passato era più un modo per ribadire le linee della Santa sede nei diversi ambiti e l’obbedienza a testi e codici e documenti».
La sensazione è quella «dell’immenso bene che la Vita consacrata ha offerto particolarmente alle nostre Chiese di Lombardia che hanno sempre potuto contare su un numero straordinario di presenze, una ricchezza di Istituti come numero, qualità, servizio e sulla nascita di moltissime vocazioni nelle nostre terre».
Insomma, «una regione benedetta» – al Dicastero si è anche parlato delle esperienze intercongregazionali -, che non sfugge, però, alle problematiche legate all’invecchiamento dei consacrati e alla diminuzione del numero, a cui fa da contraltare l’aumento di chi proviene da altri Paesi. «Un tema interessante è quello della presenza di Istituti vivi, con qualche realtà che conosce una nuova giovinezza e, invece, di altri che vanno esaurendosi». Il perché si è chiesto monsignor Delpini, citando le osservazioni di suor Simona Brambilla, religiosa della Consolata e segretario del Dicastero. «Si è visto che la qualità della formazione e del discernimento, diventa un contributo alla vivacità della Vita consacrata e anche l’apertura alla missione, al contrario dell’autoreferenzialità, inserisce una possibile attrattiva, così come la diminuzione quantitativa da vivere quale categoria evangelica».
La Vita consacrata come dono
Poi, un secondo punto: la Vita consacrata come dono dello Spirito. «Mi pare che spesso i nostri discorsi tornano su argomenti che ci logorano senza poter trovare elementi di gioia e di slancio, per cui si pensa sempre all’età, alla decrescita dei consacrati e al tema degli immobili. Ma questo rischia di inaridire e di farci perdere di vista quello di cui viviamo, lo Spirito, il dono che lo Spirito fa alla Chiesa. Uomini e donne della vita consacrata sono presenti nella Chiesa come una profezia, una parola da parte di Dio che testimonia di aver scelto la parte migliore, cioè di dedicarsi radicalmente e totalmente alla consacrazione. Ma come questo può essere tradotto in una prassi riconoscibile? Come, ad esempio, i consacrati pregano e come insegnano a pregare? Per quali intenzioni pregano?».
Da qui una proposta dell’Arcivescovo. «Mi piacerebbe che l’appartenenza a una Chiesa locale venisse còlta come l’occasione per dire che la Vita consacrata presente in una parrocchia o comunità pastorale si fa suggerire un tema di preghiera legato a quella stessa realtà, facendo così intuire l’esistenza di una comunione spirituale prima ancora di quella caritativa e apostolica in cui voi siete generosissimi.
Sposare il Rito ambrosiano – in molte comunità religiose si utilizza il Rito romano anche in Diocesi – è un modo per dire l’appartenenza, la presenza in questa terra specifica».
Infine, «la Vita consacrata come contributo a costruire la Chiesa dalle genti». Un’evidenza e una necessità, quest’ultima, «specie di fronte a tante persone che vengono da Chiese anche molto lontane, sia facendo parte di Istituti nati in Diocesi o in Italia, ma anche di alcuni sorti altrove dove la pressoché totalità dei membri è straniero».
Vita consacrata e Chiesa dalle Genti
«La Vita consacrata testimonia questa Chiesa dalle genti, ne è un modello, nelle comunità fatte da persone diverse, ma tutte unite dal Signore».
Di fronte al fenomeno delle migrazioni «che è uno dei principi più importanti del cambiamento della nostra società», sottolinea il vescovo Mario, «il rischio è che la presenza di queste persone sia solo funzionale» a un aiuto o all’innesto di forze giovani, «mettendo in secondo piano il contributo che coloro che provengono da varie parti del mondo possono dare alla Chiesa dalle genti».
La questione rimane il chiedersi come costruire questa Chiesa dalle genti. «Qualche passo lo stiamo compiendo, come la costituzione di Cappellanie etniche, non per realizzare isole, ma proprio perché le vogliamo inserite nelle parrocchie in cui vivono, pur custodendo le loro tradizioni. Non immaginiamo una Chiesa fatta di isole, ma di realtà chiamate a far parte di un’unica Chiesa».
E se «certamente, vi è una ricchezza di presenze di questo tipo nei Decanati come hanno recensito le Assemblee sinodali decanali», la questione aperta è come valorizzare questo contributo. «Rendendo possibile a tutti di esprimersi e di conoscere la storia della nostra Chiesa ambrosiana», l’immediata risposta, come si sta già facendo in considerazione del fatto che per quasi 500 sorelle, 230 appartenenti a Istituti indigeni e 280 provenienti da realtà di fondazione internazionale sono stati predisposti corsi formativi, molto frequentati e attesi.
«Anche il rinnovo dei Consigli pastorali dovrebbe essere occasione perché laici e consacrati si sentano protagonisti della vita di comunità. Quello che ci sembra più necessario, nella corresponsabilità, non è tanto il ruolo di responsabilità, quanto vedere quali siano le vie della missione e come annunciare il Vangelo fuori dai nostri ambienti».
Una preoccupazione, quella della corresponsabilità e della conoscenza reciproca, che emerge nel breve dialogo in cui prendono la parola alcuni dei presenti e concluso dal vicario episcopale, per cui occorre «dare più personalità dalla Vita consacrata uscendo da una lettura funzionale del ruolo che svolge. Talvolta, sarebbe utile ritrovarsi tra consacrati di un Decanato, costruendo rapporti di conoscenza, incontrandosi in vista della missione del territorio, magari in occasione della Visita pastorale ai Decanati dell’Arcivescovo». Come a dire, dobbiamo passare «da relazioni “mute” a quelle mutue», come dice un membro della comunità paolina a Milano.
La celebrazione in Duomo
Relazioni da vivere con quello spirito fraterno che si respira poco dopo in Duomo, dove il vescovo Mario presiede l’Eucaristia – concelebrata, tra gli altri, dai vescovi Mascheroni, Agnesi e Raimondi, membri del Cem e dall’abate cistercense di Chiaravalle, Stefano Zanolini, e da molti religiosi – alla quale prendono parte centinaia di consacrate e consacrati.
«Veniamo da una tradizione che ha spesso accentuato la distinzione tra vocazioni di speciale consacrazione e la vita ordinaria dei credenti. La rotta però sta cambiando: la vita consacrata potrebbe cominciare ad essere per tutti l’invito ad accogliere nella ordinarietà della propria vita la bellezza di Gesù. Da questo punto di vista l’intuizione degli istituti secolari è stata ed è ancora oggi illuminante. Come pure la vita comune dei religiosi, potrebbe essere un segnale luminoso, tangibile, di relazioni fraterne gioiose e profonde, raccolte nel nome del Signore, in un mondo attraversato da individualismi dannosi e da solitudini allarmanti», dice nel saluto di benvenuto monsignor Magni.
A tutti – accanto alla tradizionale icona della Madonna dell’Idea posta in altare maggiore, si rivolge monsignor Delpini nella sua omelia.
«In questa città e in ogni parte della Diocesi ci sono uomini e donne che si prendono l’incarico ogni mattina di benedire il Signore per tutte le sue opere e invocare ogni benedizione per tutti i figli degli uomini. Non continuate a domandare se siano tanti o pochi, se siano giovani o vecchi, se siano nati in questa terra o vengano da paesi lontani».
E, così, anche per le «ore della sera nelle quali ci sono uomini e donne che vivono la sera e la notte come l’attesa, che danno voce all’attesa di coloro che attendono e di coloro che non aspettano niente e nessuno, di coloro che sperano e di coloro che sono disperati, di coloro che domandano e di coloro che non domandano niente. In questa città e in ogni parte della Diocesi ci sono uomini e donne che hanno scelto di non pensare ai soldi, di accumulare altrove il loro tesoro. Uomini e donne che hanno ricevuto dal Padre la grazia di essere cittadini del Regno. Sono liberi e poveri per riconoscere le opere di Dio, per essere alleati dell’amore di Dio. Sappiate che non si domandano quanto guadagnano, ma quanto amano».
Per questo, conclude l’Arcivescovo, «celebriamo l’Eucaristia: per ringraziare della Vita consacrata, di uomini e donne incaricati di essere voce di tutta la gente che abita questa terra per benedire Dio, per praticare la speranza, per domandarsi quanto grande sia l’amore».
La celebrazione eucaristica per la Vita consacrata: il video integrale