Nella chiesa di Santa Maria Nascente la comunità di Paderno Dugnano porge l’ultimo saluto a Fabio, Daniela e al figlio Lorenzo, le tre vittime della strage familiare dello scorso 1° settembre. I funerali – davanti a moltissimi cittadini della località dell’hinterland milanese, in una giornata nella quale la sindaca Anna Varisco ha proclamato il lutto cittadino – sono presieduti dall’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, che apre la funzione affidando al Signore i tre familiari «strappati dai loro cari da una morte crudele».
L’omelia dell’Arcivescovo
Nell’omelia l’Arcivescovo cerca di guidare i fedeli a riflettere sulla tragedia, attraverso una serie di domande che immagina siano poste da Dio alle vittime. «Io mi immagino che accogliendo Lorenzo il Signore Dio gli abbia detto: perché sei qui, così giovane? Da dove vieni? Che cosa sono queste ferite? Che cosa è stato della tua vita? Io mi immagino che Lorenzo abbia risposto: “Sono qui, a causa di mio fratello, il mio fratello grande, il mio fratello intelligente. È stato lui che ha interrotto il mio incubo notturno, mentre avevo l’impressione di essere inseguito da un mostro e mi sarei svegliato, penso, come al solito spaventato e rassicurato di essere ancora vivo. Ma in quella notte non mi sono svegliato, a causa di mio fratello, il mio fratello grande, il mio fratello intelligente”».
Nel mistero abita Dio
L’Arcivescovo prosegue riferendosi poi alla mamma. «Io mi immagino che accogliendo Daniela il Signore Dio le abbia detto: “Perché sei qui, Daniela? Da dove vieni? Perché queste ferite?”. Mi immagino che Daniela abbia risposto: “È stato il mio figlio grande, il mio figlio primogenito, il figlio di cui sono orgogliosa. È stato lui a spaventarmi nella notte, è stato lui a ferirmi con l’orrore del sangue di Lorenzo e con il colpo che ha posto fine allo spavento e all’orrore. Per questo sono qui, Signore Dio, a causa del mio Riccardo”. E il Signore Dio ha chiesto a Daniela: “Che cosa è stato della tua vita? E adesso che cosa sarà della vita del tuo Riccardo senza di te?”. E Daniela ha risposto: “Signore Dio, che posso dire della mia vita? Ecco, posso dire del mistero, di quel buio impenetrabile in cui si accende una luce. Posso dire del mistero, di quella gioia sovrabbondante e indicibile in cui si accende una vita; di quell’enigma impenetrabile che diventano talvolta le persone che amiamo; di quelle parole incomprensibili che sconcertano e zittiscono. Posso dire del mistero: la mamma abita il mistero dell’amore, della vita, del generare e dell’accudire. La mamma abita il mistero e non sa come dire e non sa che cosa dire. La mamma abita il mistero ed è solo capace di amare».
«Come farà senza di me Riccardo, il mio figlio grande? – aggiunge Delpini -. La mamma mette al mondo e lascia partire i figli per la loro strada, ma io continuerò ad abitare il mistero, voglio ostinarmi a seminare una scintilla di luce, anche nel buio più cupo, voglio stare vicino a Riccardo per continuare a rassicurarlo di fronte al mistero, infatti nel mistero abiti tu, Signore Dio, e io sono con te!”».
La responsabilità del padre
L’Arcivescovo conclude la sua omelia con la stessa domanda dedicata a Fabio, marito di Daniela e padre di Lorenzo. «Mi immagino che quando il Signore Dio ha accolto Fabio gli abbia detto: “Come sei arrivato qui? Che cosa sono queste ferite?”.
Mi immagino che Fabio abbia risposto: “È stato Riccardo, il mio figlio grande, quasi un uomo ormai. È stato Riccardo che mi ha teso un agguato nella notte dello spavento, e non ho potuto, non ho voluto difendermi, pur essendo forte non ho usato la forza, lo spettacolo era troppo assurdo, troppo sbagliato, troppo, troppo insanguinato. Ma poi subito la vista si è oscurata, l’assurdo è scomparso e sei apparso tu, Signore Dio”. E il Signore Dio ha chiesto a Fabio: “Che cosa è stata la tua vita? E ora che cosa sarà di Riccardo, il tuo figlio che diventa uomo, senza di te?”. E Fabio ha risposto: “Riccardo, il mio figlio grande, quasi un uomo ormai, forse mi ha sentito come un peso, come un fastidio, come capita a tutti i figli che hanno momenti in cui sentono insopportabile il papà. Ma io ho parole da dire. Ecco: il papà è uomo di parola, è uomo che ha parole da dire, è uomo che aiuta i figli a trovare le parole per dire di sé, della loro inquietudine e della loro speranza. Il mio Riccardo non ha ancora imparato a esprimere in parole quello che dentro l’animo si agita, si aggroviglia, si raggela. Voglio stare vicino a Riccardo e aiutarlo a dire le parole giuste, a dare il nome giusto alla vita, anche al dolore, anche alla rabbia. La parola è già una medicina. Il papà, se ascolta la sua esperienza e ascolta la voce del Signore, sa la parola giusta, sa il discorso rassicurante, sa la parola che incoraggia, che corregge, che rimprovera, che perdona».
«Di fronte all’incomprensibile tragedia – ha aggiunto l’Arcivescovo – la parola del Signore ci aiuta a decifrare l’enigma e a raccogliere da Lorenzo, Daniela, Fabio il cantico della vita e della speranza giovane di un fratello, l’intensità dell’amore misterioso di una mamma e la responsabilità della parola vera di un papà».
Le offerte all’Associazione Kayros
Delpini si accomiata dai fedeli con un’ultima considerazione: «Desidero invocare la benedizione che sia di consolazione, e desidero esprimere la persuasione che noi abbiamo bisogno di silenzio, e di preghiera».
La celebrazione termina al suono della banda della scuola, accompagnato dall’applauso dei presenti in chiesa. Per volontà della famiglia, i fedeli sono stati invitati a non portare fiori, ma a devolvere le eventuali offerte all’Associazione Kayros, fondata da don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria, l’Istituto minorile di Milano dove è detenuto Riccardo.