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Sirio 17 - 31 marzo 2025
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Milano

L’Arcivescovo: «Ca’ Granda, una storia di potere convertito in servizio»

Celebrando la Festa del Perdono in Santa Maria dell’Annunciata, richiamandosi alla figura di Elia monsignor Delpini ha sottolineato come non si debba ridurre la politica «a una questione di convenienze» e richiamato tutti a interrogarsi sulle proprie responsabilità. Dopo la Messa visita al Padiglione Sforza in costruzione

di Annamaria BRACCINI

25 Marzo 2025
Un momento della celebrazione in Santa Maria Annunciata (Agenzia Fotogramma)

La Festa, con ogni probabilità, più antica di Milano che si celebra ininterrottamente, tra guerre, carestie, pandemie, dal 25 marzo 1459, giorno dell’Annunciazione, nata per raccogliere fondi necessari alla costruzione e mantenimento della Ca’ Granda, di cui oggi è erede il Policlinico. E, allora, come tradizione, è una giornata insieme di ricordo delle radici gloriose della città, del suo ospedale (e della sua generosità popolare) e di uno sguardo rivolto al futuro, nell’anno in cui, dopo un quinquennio, si inaugurerà a dicembre il Nuovo Policlinico.

Ma la mattinata inizia – e non potrebbe essere altrimenti – come sempre con la celebrazione eucaristica nella chiesa di Santa Maria dell’Annunciata, un tempo interna alla Ca’ Granda, sede dell’Università degli Studi di Milano. Parrocchia che dai tempi di San Carlo Borromeo ha come parroco l’Arcivescovo di Milano, che presiede la Messa concelebrata dai 4 cappellani dell’ospedale – don Giuseppe Scalvini porge il saluto di benvenuto -, dal responsabile della Pastorale universitaria don Marco Cianci e da quello del Servizio per la Pastorale sanitaria don Paolo Fontana. Nelle prime file della chiesa, gremita di studenti, autorità militari e civili, tra cui il presidente della Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Marco Giachetti.

L’Arcivescovo durante la Messa (Agenzia Fotogramma)

La laicità dello Stato e la profezia

A tutti si rivolge l’Arcivescovo nella sua omelia, richiamando l’intreccio tra profezia e politica: «La laicità dello Stato, della politica, delle scelte amministrative e gestionali è una acquisizione tipica dei Paesi cattolici: al contrario di quei Paesi dove la politica è governata dalla religione o dalla ideologia, nei Paesi di tradizione cristiana, in particolare cattolica, la politica è autonoma. Dalla religione non si può dedurre se si debba investire per fare una scuola, un ospedale o per fare una bomba».

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Un’autonomia, quella della laicità della politica e delle sue decisioni, che può essere intesa im senso positivo, ma che «talora evidenzia come il riferimento a Dio sia insignificante e irrilevante per le scelte politiche. Tu fai quello che vuoi, tu decidi quello che ti conviene e per Dio va bene così», osserva l’Arcivescovo che, in riferimento alla figura del profeta Isaia, aggiunge: «Il profeta si fa avanti per rimproverare la riduzione della politica e del potere a una questione di convenienze. Non è vero che quello che è bene dipende solo dall’interesse o dalla forza. Il profeta contesta la politica che ignora i segni di Dio. Il profeta è voce scomoda, il profeta diventa un fastidio, si rende antipatico: infastidisce il re, la sua politica, la sua diplomazia, quindi anche l’economia, la logica degli investimenti. È antipatico e si mette in pericolo».

Anche perché «fa parte della missione del profeta non essere d’accordo, contestare in nome di Dio la prepotenza del potere, difendere il povero, l’orfano, la vedova, il forestiero e  ricordare ai potenti il loro essere a servizio. Dunque, si potrebbe dire, i profeti non fanno politica, ma correggono la politica, stimolano chi è nella condizione del potere a un esercizio del potere come servizio, infondono coraggio di fronte alle scelte difficili, ai popoli spaventati dalla tirannia dal dominio giusto, dallo sfruttamento scriteriato. Non sono consolatori a buon mercato: invitano piuttosto a fidarsi a Dio e a riconoscere l’opera di Dio e il suo modo di operare».

Monsignor Delpini al Padiglione Sforza (Agenzia Fotogramma)

La via della conversione

Come per il profeta, così per il “sì” immediato di Maria all’annuncio dell’angelo la via indicata è quella della conversione: «Tutti siamo chiamati oggi a interrogarci sulle nostre responsabilità, sia nelle grandi istituzioni che qui sono rappresentate, sia in quelle più private, personali, ecclesiali. Ogni responsabilità deve accogliere l’invito alla conversione e fare riferimento ai segni di Dio. La storia della Ca’ Granda è segnata da queste storie di conversione: le ricchezze private convertite in patrimonio della città, il potere convertito in servizio, la scienza messa a servizio della salute e della cura».

Da qui la consegna: «Celebrando la Festa del Perdono, non possiamo sfuggire alle domande che il profeta pone a chi ha responsabilità e potere per invitare tutti a chiedere perdono, tutti a decidere la conversione possibile, tutti a partecipare alla festa che ci libera dal peccato e promette la salvezza».

La visita al Nuovo Policlinico

Poi il trasferimento al secondo piano del cantiere del Padiglione Sforza con i suoi 800 posti letto (nel complesso ogni giorno lavorano 500 tra operai e maestranze). Edificio tecnologico e all’avanguardia che prevede al centro delle due grandi strutture di 7 piani ciascuna, il Giardino Terapeutico di oltre 7.000 mq, vero e proprio spazio di salute en plein air.

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Per la Festa del Perdono, arriva così anche il momento celebrativo, presenti l’Arcivescovo, il sindaco Milano Giuseppe Sala, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente della Fondazione Giachetti, la rettrice della Statale Marina Brambilla, molte altre autorità militari, chi ha progettato la struttura, architetti come Andreas Kipar, ideatore del progetto “Green on the Ground” che prevede la ridefinizione dei percorsi pedonali e automobilistici del Policlinico. Cento i nuovi alberi previsti, di cui i primi sono stati piantumati per l’occasione.  

Le autorità partecipano alla piantumazione (Agenzia Fotogramma)

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