«Credo che tutti coloro che hanno responsabilità siano stati criticati, sono sembrati prendere posizioni di parte, hanno avvertito che ci sono persone non sono contente delle scelte che uno fa. Immagino che tutti gli arcivescovi di cui facciamo memoria, abbiano avuto critiche, però – almeno quelli che abbiamo conosciuto personalmente – non mi sembravano tanto inclini a fare l’apologia di sé stessi, forse perché hanno imparato che chi vuole criticare non si lascia convincere dagli argomenti con cui uno si difende e che, nella comunità cristiana, quelli che mormorano alle spalle, che hanno da dire, che sono di malumore, non si convincono con i discorsi».
A richiamare le difficoltà di ieri e di oggi che sempre accompagnano il ministero, soprattutto di coloro che ricoprono ruoli decisionali, è l’Arcivescovo Delpini che, come ormai tradizione nel giorno in cui si celebra la ricorrenza liturgica del beato cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, ricorda i suoi recenti predecessori alla guida dell’Arcidiocesi di Milano, sepolti in Duomo.
Anzitutto Schuster, che concluse la sua vita terrena nel seminario di Venegono il 30 agosto 1954, e i cardinali Giovanni Colombo, arcivescovo dal 1963 al 1979, Carlo Maria Martini sulla cattedra di Ambrogio e Carlo dal 1980 al 2002 (oggi ricorre l’undicesimo anniversario della morte) e Dionigi Tettamanzi, arcivescovo dal 2002 al 2011, tornato alla casa del Padre il 5 agosto di sei anni fa.
Una memoria grata rivolta a questi Pastori esemplari per cui in Duomo sono più di cinquanta i concelebranti, tra cui il vicario generale, monsignor Franco Agnesi e altri sei vescovi ambrosiani, i vicari episcopali di Zona e di Settore, i canonici del Capitolo metropolitano, il presidente della Fondazione Carlo Maria Martini, padre Carlo Casalone e monsignor Michele di Tolve che, proprio in Duomo sabato 2 settembre, verrà consacrato, a sua volta, vescovo. Molti i fedeli presenti con in prima fila la vicesindaca, Anna Scavuzzo in rappresentanza del primo cittadino, parenti e amici dei vescovi ricordati.
L’esempio di san Paolo
Dal primo capitolo della lettera paolina ai Tessalonicesi, si avvia la riflessione del vescovo Delpini. «L’apostolo si trova talvolta costretto a fare l’apologia del suo comportamento, si capisce che il suo apostolato era oggetto delle accuse, delle insinuazioni che circolano nelle comunità cristiane, delle mormorazioni di coloro che sono scontenti di lui. È accusato di non dire la verità, di cercare il consenso, la gloria umana, la popolarità». E, poi, «è accusato di svolgere il suo ministero per un vantaggio materiale, fa le cose perché ha il suo interesse, programma lavori e organizza la comunità perché ci guadagna».
Come si difende, quindi, Paolo? Con il richiamo a Dio e alla propria coscienza. «Così deve agire – aggiunge Delpini – colui che serve la comunità: con il confronto semplice e limpido con Dio. Gli altri possono fraintendere, possono esprimersi dando voce ai pregiudizi, credendo più alle insinuazioni maliziose che a quello che sta sotto i loro occhi».
L’Arcivescovo ha evidenziato che seppure i suoi predecessori «non abbiano perso tempo nell’apologia del loro ministero, nella difesa che Paolo fa di sé, mi pare che tutti possiamo imparare in che modo comportarci, esercitare la responsabilità che abbiamo e con quale criterio valutare i comportamenti nostri e degli altri. Paolo non ha bisogno di guadagnarsi il consenso, dice solo che Dio ne è testimone».
Come servire la comunità
Da qui i tratti distintivi di chi serve la comunità. «Questo rivela la sua ineccepibile onestà – prosegue Delpini – anzitutto nel non fare il proprio interesse, nel non cercare vantaggi per sé. La trasparenza economica è il primo argomento inconfutabile. “Vengo povero e me ne vado povero: non ci ho guadagnato niente”», sottolinea ancora il vescovo Delpini. «Colui che serve la comunità in nome di Dio è chiamato a rendere evidenti le sue priorità».
Il pensiero torna agli arcivescovi che lo hanno preceduto. «Noi possiamo rendere omaggio ai vescovi che qui ricordiamo, perché possiamo dire che a ciascuno di loro, pur con stili così diversi e in situazioni differenti, una sola cosa stava a cuore: annunciare il Vangelo di Dio».
A conclusione della celebrazione, la breve processione, all’interno del Duomo, guidata dall’arcivescovo e dai concelebranti in preghiera verso le sepolture degli arcivescovi Martini, Colombo e Tettamanzi, con la benedizione finale presso la tomba del beato Schuster.