«Celebrare il giorno della grazia ricevuta, un giorno senza impegni o servizi da prestare, senza impegni al mattino, al pomeriggio, alla sera. Un giorno da dedicare solo alla gratitudine per i doni di Dio, per essere contenti, senza niente da preparare, con tutte le ore disponibili per vivere momenti piacevoli, lieti, da soli o con gli amici. Un giorno di amicizia gratuita con Gesù, camminando su qualche sentiero o in qualche luogo dove ci si trova bene, senza messaggi da leggere o da inviare, senza chiamate a cui rispondere. Per me sarà il 3 aprile».
È questa l’“Actio”, ossia il gesto penitenziale – forse un poco inatteso nel suo contenuto -, che l’Arcivescovo, durante l’omelia, ha lasciato in Duomo alle molte centinaia di preti e ai diaconi riuniti per la tradizionale celebrazione penitenziale per il clero presieduta dal vescovo Mario stesso che alla fine dell’incontro sottolinea anche un annuncio atteso. Quello relativo al Messale ambrosiano (già prenotabile) «che sarà utilizzabile dalla prima domenica di Avvento 2024. Nei prossimi giorni forniremo la modalità per la prenotazione e dovremo riflettere su come si possano aiutare in questo le parrocchie piccole o povere perché non sia una spesa sproporzionata. Io firmerò il Decreto che approva questo Messale durante la Messa crismale».
A cura della Formazione permanente del Clero e introdotta dal suo vicario episcopale, monsignor Ivano Valagussa, la mattinata, si intitola «Coraggio apostolico e fiducia». Dopo l’ascolto della Parola, tratta dalla seconda Lettera di Paolo a Timoteo, l’Arcivescovo avvia la sua riflessione o, meglio, l’ “esame di coscienza”.
L’esame di coscienza
«Ascoltiamo la voce di Paolo, viene dal carcere, viene dall’umiliazione di un uomo trattato come un malfattore. Ascoltiamo la voce di fratelli che sono in carcere per il fatto di essere cristiani, in Nicaragua, che sono in pericolo, in India, in Myanmar, in Nigeria, in Siria, in Terra Santa. L’apostolo è in carcere per la sua fedeltà alla missione di annunciare il Vangelo a ogni creatura e io sono esitante a dire parole di Vangelo perché temo l’impopolarità, immagino che coloro che mi stanno a cuore ne saranno scontenti, già mi vedo le persone autorevoli, istruite, titolate che avanzano critiche e compatimento? L’apostolo è in carcere, fratelli e sorelle in ogni parte della terra sono circondate da violenze e disprezzo e io sono un discepolo timido», scandisce il vescovo Mario, utilizzando la prima persona, ma alludendo, evidentemente, al ministero proprio di ogni presbitero. L’invito è «ravvivare il dono di Dio» ricevuto con l’ordinazione, appunto, presbiterale.
«Ci sono forse momenti in cui il dono si è spento, svigorito. Una specie di vergogna per il Vangelo, una frustrazione che diventa motivo di amarezza», prosegue. «Non vivo i fallimenti del mio ministero come sequela di Gesù, imitazione dell’apostolo in carcere, vivo come se fossero deluse la mia attesa di risultati, la mia meschina pretesa di popolarità, di ricevere il centuplo che mi immagino. Nell’amarezza delle mie sconfitte, invece che lasciarmi ricondurre all’essenziale e santificare dallo Spirito Santo, mi sono autorizzato alla mediocrità. Nelle fatiche delle incomprensioni, nel disagio delle frizioni con gli altri, invece di una chiamata a più vera solidarietà, a più sincera fraternità, a una sollecitudine più premurosa, mi sono lasciato abitare da un meschino risentimento, dalla critica, dal rinchiudermi nel mutismo e nell’indifferenza».
Poi, il momento delle confessioni individuali – previste anche nella modalità della reciprocità -, la testimonianza di don Marco Pavan, già Fidei donum a Cuba e, ora, impegnato nel ministero pastorale a Paderno Dugnano – «mi sono affidato al Signore e mi sono sempre trovato bene», spiega ripercorrendo le diverse fasi della sua vita – e la consegna del gesto penitenziale, nel richiamo al dovere di contribuire con le offerte all’Opera Aiuto Fraterno specie con la colletta del Giovedì santo nella Messa Crismale e in Coena Domini, ma è chiaro che lo si può fare tutto l’anno «e anche con lasciti testamentari».