«Il pentimento, la misericordia che dobbiamo contemplare come rivelazione di Dio, e ciò che dobbiamo avvertire come sensibilità ecclesiale, cioè che tutta la Chiesa è chiamata a rallegrarsi, perché i peccatori sono perdonati». Sono le tre «raccomandazioni» che l’Arcivescovo lascia agli oltre 200 fedeli riuniti in Duomo per la celebrazione penitenziale pasquale, dal titolo «Tornerò da mio padre», voluta da lui stesso e rivolta ai laici, per sottolineare il valore del sacramento della riconciliazione.
«Convocati dal Vescovo – dice infatti monsignor Fausto Gilardi, penitenziere maggiore della Cattedrale e responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale liturgica della Diocesi -, ci apprestiamo a vivere una celebrazione in cui esprimere la nostra gratitudine per il dono della vita e sperimentare la tenerezza della misericordia che perdona i nostri peccati». E questo a partire, come tradizione per il rito penitenziale, dalla Confessio laudis, che esprime appunto la gioia per il dono della vita – approfondita attraverso la lettura di un brano della Proposta pastorale 2023-’24 -, per giungere alla Confessio Vitae, con la lettura del Vangelo secondo Luca nella pagina della parabola “del padre misericordioso”.
Il pentimento
«Un testo sorprendente che indica una strada per vivere la riconciliazione – osserva subito l’Arcivescovo -. Nella forma personale e quasi privata di questo sacramento si dà molta importanza all’elenco dei peccati e dei dispiaceri che viene condiviso con il confessore. Questo è uno dei modi per celebrare la riconciliazione, ma il brano del Vangelo ha dei tratti particolari, dicendo altro: non c’è la confessione dei peccati, l’elenco delle cose sbagliate perpetrate dal figlio che torna alla casa paterna. Questo ci dice che un elenco dei peccati è importante, ma non è la cosa più importante».
Tre invece i suggerimenti – prosegue l’Arcivescovo – «che vorrei raccomandare».
In primis il pentimento, «come quello del figlio ritrovato che prova dolore per ciò che ha fatto perché si rende conto che, con il peccato, ha rovinato la sua vita e il rapporto con il padre. Il penitente deve compiere l’esperienza che il peccato fa male e rende più brutta la propria vita». Insomma, non si tratta soltanto di sentire un generico senso di colpa, ma di avvertire «il dispiacere che diamo a Dio perché abbiamo rovinato la nostra vita». Un pentimento vero e profondo, «prima condizione per tornare a casa», espresso con una parola di sintesi, più volte ripetuta dall’Arcivescovo: «Mi dispiace».
La misericordia e la gioia
Seconda indicazione, l’abbraccio del padre, ossia la misericordia, «la gioia di Dio perché ci può perdonare». «Questo è il punto più importante e il confessore, in questo momento, deve dire alla persona che ha di fronte soprattutto che il Padre abbraccia, ama te che torni a essere figlio nella casa paterna».
Il terzo invito nasce con il riferimento «al rammarico del padre perché non tutti partecipano alla sua gioia», come accade all’altro figlio, sempre comportatosi in modo corretto e rimasto presso la casa paterna: «Per questo viviamo una celebrazione comunitaria, perché vogliamo rallegrarci che ciascuno sia perdonato e ci rallegriamo della gioia degli altri, perché qui c’è la gioia di Dio. Celebriamo insieme questo momento non come singoli, ma come tanti che fanno festa come il Padre fa festa per ogni peccatore pentito», conclude.
Poi, il momento delle confessioni dei fedeli, con oltre 30 sacerdoti – tra i quali l’Arcivescovo, il Vicario generale, il Moderator Curiae, altri membri del Consiglio episcopale milanese e i Canonici del Duomo – impegnati nei confessionali tradizionali, ma anche seduti su semplici sedie collocate ai quattro angoli della Cattedrale, dalla cappella feriale alle navate, agli altari laterali fino in fondo al Duomo. Infine, il passaggio della Confessio vitae con il quale «si assume l’impegno per una vita nuova, fedele all’amore ricevuto nel perdono».
Al termine della celebrazione arriva anche, da parte del Vescovo, la richiesta di contribuire generosamente alla Colletta del Venerdì santo per la Terra santa, la terra del Signore martoriata dalle tante tragedie della guerra.