Il discepolo: «Dimmi, profeta, dove la giustizia? Dove la dimora del Signore? La vita è un deserto senza strade. Le domande sono un suono che si perde nel vento. Dove la pace? Il sospiro è un pianto senza consolazione? Dove la dimora del Signore?»
Il profeta: «La tua inquietudine, invece di una porta aperta per accogliere la pace, è una agitazione distratta. Il tuo passo, invece che la docilità alla voce che ti chiama, è un girovagare inconcludente. Le tue domande, invece che l’attesa di una parola, sono piuttosto un dissenso, una protesta. Tu poni domande, ma non ascolti le risposte. Gridi una invocazione, ma non fai spazio al soccorso.
Ascolta. Ascolta.
Lascia che la parola del Signore prenda dimora nel tuo cuore e nella tua mente, come il seme entra nella terra. Lascia che la rivelazione che viene dall’alto sia come la pioggia che disseta la terra.
Ascolta. Ascolta.
Consenti al tempo di far germogliare il seme, lascia che la scintilla accenda il fuoco. Lascia che il silenzio si animi di una commozione.
Ascolta. Ascolta.
Non permettere al malumore di diventare una obiezione. Non permettere alla presunzione di diventare indifferenza e disprezzo per chi parla nel nome del Signore. Non permettere alla rassegnazione di diventare ottusità.
Ascolta. Ascolta».
Il discepolo: «Le tue parole sono dure, profeta! Cerco la giustizia, ma giustizia non c’è. Cerco il Signore, ma il Signore non si fa trovare. Dimmi una parola, mostrami la via».
Il profeta: «La prima parola è la memoria. Guarda alla roccia da cui sei stato tagliato. Ricordati di Abramo e riconosci d’essere figlio, d’essere discendenza di Abramo. Ricorda. Ricordati d’essere figlio. Vivi di una vita ricevuta, vivi di una promessa compiuta».
Il discepolo: «La memoria! Si perde nella notte dei tempi e neppure riesco a immaginarmi il volto di Abramo e di Sara e la loro solitudine e la loro fecondità. Il racconto commuove, ma come una favola. Degli antichi canti del popolo s’è persa l’eco nei secoli, come un’epica gloriosa e mitica. Ecco oggi le rovine! Ecco oggi il deserto! Invoca il Signore, profeta! Venga il Signore, venga il suo regno!».
Il profeta: «Il Signore viene! Il Signore ha pietà di Sion, ha pietà delle sue rovine e rende il deserto come l’Eden. Il Signore viene! La sua promessa si annuncia con giubilo e gioia, ringraziamenti e melodie di canto! Ecco: la gioia! Quale posto hai lasciato per la gioia nel tuo animo? Quale posto hanno lasciato i popoli per la gioia nei loro affari, nei loro discorsi, nei loro pensieri? Quale posto per la gioia? Dove potrà piantare il giardino di Eden il Signore che viene?».
Il discepolo: «Profeta, tu sai che non c’è posto per la gioia là dove gli empi prevalgono con le loro empietà, là dove il deserto divora i campi, là dove l’angoscia agita il pensiero e gli affetti. La gioia? Come potremo ospitare la gioia?»
Il profeta: «Il Signore viene e la sua gioia ne annuncia la presenza. Giubilo e gioia trovano casa nei cuori dei credenti, i semplici, i bambini, color che guardano il mondo con lo sguardo di Dio.
Alza gli occhi al cielo e guarda la terra di sotto: tutto si dissolve, tutto si logora e invecchia. Il Signore salva e la sua salvezza è per sempre! Il Signore regna e la sua giustizia non verrà distrutta.
La gioia che annuncia la presenza del Signore non si confonde con l’allegria precaria dei trionfatori, non è l’ebbrezza scomposta delle trasgressioni. La gioia germoglia là dove il Signore pronuncia la sua parola, là dove l’Altissimo posa il suo piede. Ecco, viene! Fate posto alla sua gioia».