«La consegna del messaggio per la pace dell’Arcivescovo alla Comunità ebraica di Milano è avvenuta all’interno di un rapporto che è rimasto forte dopo gli attentati terroristici del 7 ottobre scorso e che hanno spinto la nostra Diocesi a esprimere la sua solidarietà verso il popolo ebraico per un attacco che ha seminato molto dolore e anche molta apprensione». È monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Carità, Cultura, Missione e Azione sociale, a raccontare come abbia incontrato il rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib, consegnando nelle sue mani il messaggio dell’Arcivescovo (leggi qui il testo).
La consegna è avvenuta nella Sinagoga centrale?
Certamente. L’intenzione del documento è dire che occorre mettersi d’impegno a lavorare per costruire una pace che, come è intuibile dagli eventi attuali, non è facilmente raggiungibile. L’attentato terroristico ha scatenato, come era immaginabile, una ventata di odio che si sfoga, per esempio, anche in atteggiamenti di aperto antisemitismo vissuti in tante capitali del nord Europa e anche a Milano. Come mi ha comunicato, Rav Arbib aveva già letto il testo sul sito della Diocesi e lo ha subito considerato molto seriamente. Proprio per questo motivo, pur ringraziando l’Arcivescovo e condividendo il suo appello, ha voluto esprimere alcune osservazioni che dicono quanto le parole di monsignor Delpini siano state prese sul serio e quanto il legame tra ebrei e Diocesi di Milano sia importante in questo momento.
Vi è stata una risposta alla lettera?
Sì. Nella sua missiva, indirizzata all’Arcivescovo, rav Arbib scrive: «La pace è un bene supremo che, secondo la tradizione ebraica, è il bene senza il quale tutto il resto diventa privo di significato. La preghiera fondamentale dell’ebraismo si conclude chiedendo a Dio di darci il dono della pace. Pregheremo per la pace secondo l’invito dell’Arcivescovo come facciamo ogni giorno e lo faremo con più intensità in questi giorni terribili». Tuttavia, si nota anche: «L’Arcivescovo di Milano dice che Dio condanna il gesto fratricida delle guerre; la guerra è indubbiamente orribile, qualunque guerra lo è. È orribile per i lutti e le devastazioni che porta, è orribile per i terribili problemi etici che è necessario affrontare, ma purtroppo a volte si è obbligati a entrare in conflitto. Lo si è quando si viene aggrediti e ci si trova nella necessità di difendersi da un’aggressione, la difesa non è solo legittima, ma in alcuni casi doverosa». Il rischio evidenziato è che un appello alla pace che non sia sostenuto da azioni che permettano di ricostituire la giustizia e, quindi, di trovare i colpevoli dell’attentato, rimanga sterile. La condanna di quanto avvenuto il 7 ottobre rischia di ridursi, così, a uno slogan e a parole che non incidono sulla reale costruzione della storia. Da questo punto di vista, il Rabbino riconosce che c’è stato un fallimento generalizzato, perché non siamo riusciti a educare alla pace e a costruirne un cammino anche tra nazioni e culture che conoscono relazioni reciproche e non certo conflitti.
Cosa si può fare, allora, per rendere più concreto tale percorso di pacificazione?
Su questo abbiamo preso l’impegno reciproco di immaginare progetti che permettano di pensare e avviare una scuola di educazione alla pace permanente a Milano, dove le religioni sono protagoniste di dialogo e confronto nel rispetto di ogni fede, proprio per testimoniare la volontà di pace e di comunione che le guida. In un tale orizzonte, con questa iniziativa, che vorremmo varare al più presto, pensiamo che si possa fare il bene della città e della convivenza civile nel suo insieme.