«Professiamo di credere nella promessa della pace che realizza una nuova alleanza e perciò ci mettiamo in cammino come pellegrini di speranza, per sanare i conflitti che ci vedono coinvolti, per un’opera di riconciliazione che offre e chiede perdono e che si propone percorsi di riparazione per rimediare al male compiuto e alle divisioni create dall’avidità, dalla prepotenza, dalla stupidità».
L’inizio del Giubileo 2025 in Diocesi
È un Giubileo di luce, di speranza, di pace e di gioia, quello che si è aperto solennemente in Diocesi nella domenica dell’Ottava di Natale in una mattina che non poteva che essere piena di sole, sotto un cielo di Lombardia così bello quando è bello.
Accompagnati dai canti in diverse lingue, dalla parola di Dio, da stralci della Bolla di indizione di papa Francesco «Spes non confundit», significativamente nella basilica di Santo Stefano Maggiore – parrocchia personale per i migranti – , sono moltissimi coloro che, specie fedeli delle Cappellanie straniere dell’intera Diocesi, già prendono parte alla prima parte dei riti solenni, attraverso la cosiddetta “statio”, con la presenza dell’Arcivescovo, di 6 vescovi, dei vicari episcopali e di Zona, di 17 cappellani responsabili di altrettante comunità originarie dei 4 angoli del mondo, dei 15 sacerdoti, tra parroci e rettori di parrocchie e santuari scelte come chiese giubilari, del responsabile della Pastorale dei migranti, don Alberto Vitali e del delegato diocesano per il Giubileo 2025, don Massimo Pavanello.
Poi, la processione che si snoda, sempre arricchita da canti in più lingue e nella preghiera, attraverso le vie tra la basilica e il Duomo, passando da palazzo Reale fino al sagrato, con la guida della croce realizzata per il sinodo minore «Chiesa dalle genti», portata a turno da un rappresentante delle comunità dei migranti, alcuni nelle loro vesti tradizionali.
Davanti al grande portale centrale del Duomo è il vescovo Mario che presa tra le mani la croce, la innalza rivolto al popolo, per dirigersi, infine dopo l’entrata in cattedrale, presso il fonte battesimale di epoca borromaica dove benedice l’acqua e asperge l’assemblea, dando avvio alla processione tra due ali di folla che gremiscono le navate laterali, mentre lui stesso e i concelebranti, cui si sono uniti i Canonici del capitolo metropolitano e alcuni altri presbiteri, percorrono la navata centrale. Presenti in prima fila le autorità civili e militari, con la vicesindaco di Milano, Anna Scavuzzo, con la fascia tricolore, il rappresentante della Città metropolitana, il sottosegretario di Regione Lombardia, Raffaele Cattaneo, il prefetto Claudio Sgaraglia. Non mancano i rappresentanti delle confraternite, tra cui numerosissimi quelli del «Señor de los Milagros» di origine peruviana e degli ordini cavallereschi.
Un momento solenne, certo, ma anche di festa condivisa nella gioia, sottolineata dall’animazione musicale, eseguita al meglio, riuscendo a coinvolgere i fedeli, dalla Cappella musicale del Duomo, e da un ensemble di 13 ottoni.
Una promessa di luce, di pace, di gioia
Ed è da alcune domande, per delineare il senso più pieno e profondo dell’Anno Santo, che parte l’omelia dell’Arcivescovo che, a indicare la continuità con il Giubileo del 2000, indossa una casula gemella di quella utilizzata dal cardinale Martini in quell’anno e la stola indossata da Paolo VI alla firma della sua enciclica «Populorum Progressio». «Dov’è quell’angolo oscuro dell’anima, quel buio dell’oblio che oscura un ricordo troppo doloroso? Come è quel cruccio che tormenta, quel rimorso troppo insopportabile, quel senso di colpa per un errore irrimediabile? Qual è quel frammento di vita di cui ti vergogni, che nascondi agli altri e a te stesso? Dove sono le tue tenebre?».
«Forse – osserva subito monsignor Delpini – sono la rabbia della frustrazione, la cronaca dei fallimenti nelle storie d’amore, nella professione, nel desiderio deluso di essere stimato dalle persone che contano per te. Proprio per questo è aperto il Giubileo, l’Anno Santo: per annunciare che, con la nascita di Gesù, la luce splende nelle tenebre. Il Giubileo è l’anno di grazia per dire che le tenebre possono essere vinte: si rinnova la promessa della luce».
E, allora perché non lasciarsi convincere da una tale, affidabile, promessa?
«Chi accoglie Gesù, luce del mondo, può sperimentare quella luce amica che aiuta a riconoscere il proprio angolo di tenebra e a sperimentare che può essere visitato dalla luce. Perciò si mette in cammino, pellegrino di speranza. Veramente i peccati possono essere perdonati, veramente il male compiuto può essere riparato, veramente il peccatore può rinascere a vita nuova. La promessa di Dio non delude»
Per questo ognuno può essere, pellegrino di speranza, per usare il titolo del Giubileo ordinario. «Verso le chiese giubilari della Diocesi e verso le porte sante di Roma, noi possiamo sperimentare l’invincibile presenza di quella luce che vince le tenebre», anche se le tenebre oggi sembrano fitte come non mai, come sottolineano alcuni ulteriori interrogativi posti dall’Arcivescovo.
Il Giubileo che vince le tenebre della guerra
«Perché sono infinite e disastrose le guerre? Perché i popoli si odiano e si uccidono? Perché il buon senso ha abbandonato quei potenti della terra che decidono che gli altri sono nemici? Perché si vivono, nella nostra società, indifferenze che frantumano la convivenza, litigi che creano rotture che sembrano insanabili dentro le famiglie, tra gli abitanti dello stesso paese, quartiere e città? Dov’è la radice di quella conflittualità disastrosa che rovina la vita delle persone e dei popoli?»
Tuttavia, «proprio quella radice della guerra e del conflitto sarà estirpata dalla rivelazione della promessa», scandisce il vescovo Mario.
«Gesù, il Figlio, nel quale tutte le cose sono state create, viene a pacificare con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra sia quelle che stanno nei cieli. Gesù si consegna al sacrificio per compiere la nuova alleanza, per essere principio di riconciliazione tra i popoli, le famiglie, le comunità, le persone. Il primo segno della speranza siano la riconciliazione e la pace. Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra. Noi celebriamo il sacrificio della nuova ed eterna alleanza per rivelare che la pace è possibile, che la riconciliazione è possibile, che le persone possono stimarsi, rispettarsi, mettersi a servizio a vicenda». Da qui la consegna per l’anno di grazia che ci attende.
Mettersi in cammino
«Perché è scomparsa la gioia tra i figli degli uomini? Perché sono malati di tristezza i ricchi che hanno tutto quello che si può avere? Perché sono malati di tristezza i poveri che non hanno niente di quello che serve per vivere? Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Perché l’ingiustizia, la diseguaglianza ha per tutti lo stesso risultato? Perché la tristezza sembra invincibile?».
«Noi crediamo alla promessa e ci mettiamo in cammino: quale è il conflitto al quale io voglio porre fine, in questo anno giubilare? In quale modo noi possiamo essere costruttori di pace nell’ambiente in cui viviamo e in tutte le cose, sia quelle che stanno sulla terra sia quelle che stanno nei cieli? Inauguriamo il Giubileo qui nella nostra Diocesi, indetto da papa Francesco, per l’Anno Santo 2025 dalla nascita di Cristo e professiamo di credere nella promessa della luce che vince le tenebre del peccato con la grazia del perdono e perciò ci mettiamo in cammino come pellegrini di speranza per chiedere il perdono di ogni peccato».