«Sono una ragazza “quasi” come voi: non ho mai voluto voltare alle spalle alla vita, anche se è difficile mentalmente e fisicamente. Ciò a cui penso di più è la forza che la fede mi ha dato per continuare a combattere, essendo stata ricoverata per settimane e mesi, a volte in totale isolamento terapeutico».
Ascoltare Valentina, 18 anni tra qualche mese, che parla con serenità – lo si vede dagli occhi scuri e vivacissimi dietro la mascherina che, in parte, le nasconde il viso – è una lezione per tutti. Per i più di 100 adolescenti provenienti da diversi oratori (Casale Litta, due di Monza, Milano, Carugo-Arosio, Bovisio Masciago) che vivono il quarto appuntamento del ciclo “L’Arcivescovo vi invita”, per i sacerdoti ed educatori che li accompagnano, così come lo stesso vescovo Mario Delpini, nel reparto delle malattie del sangue e leucemie pediatriche dell’ospedale San Gerardo di Monza, dove morì, il 12 ottobre 2006 dopo una brevissima degenza, anche Carlo Acutis.
La serata
Una visita, dunque, dal duplice significato: un ulteriore passo verso la conoscenza del beato Carlo, che verrà canonizzato il prossimo 27 aprile nel contesto del Giubileo degli adolescenti a Roma, e la prosecuzione della fortunata iniziativa promossa dalla Fondazione degli Oratori Milanesi, appunto “L’Arcivescovo vi invita” che, in 7 lunedì nel corso dell’Anno santo fa uscire «i ragazzi dall’oratorio per incontrare altrettante realtà ed esperienze che ci parlano oggi delle opere di misericordia.
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Uno dei modi con cui diventare pellegrini di speranza, visitando luoghi in cui la difficoltà e il disagio, attraverso il prendersi cura, diventa speranza», come spiega, in apertura dell’incontro, don Stefano Guidi direttore della Fom, secondo la logica di “Apprendisti di felicità”, la lettera dedicata agli adolescenti da monsignor Delpini. Accanto a lui il vicario episcopale di settore, don Giuseppe Como e i cappellani dell’Ospedale, la cui chiesa è anche la parrocchia monzese di “San Gerardo dei Tintori”, don Riccardo Brena e don Gabriele Catelli. Tutti accolti dal presidente Claudio Cogliati, e dai direttori generale, sanitario e amministrativo dell’Irccs, che conta oggi reparti di eccellenza a livello internazionale, 600 posti letto, a causa dei lavori di ristrutturazione, ma normalmente più del doppio oltre ai Day Hospital. «In strutture come queste dal dolore nascono cose importanti e gesti significativi», dice il Presidente, ringraziando l’Arcivescovo che, a sua volta, esprime la propria «disposizione del cuore ad ascoltare», in un luogo dove tanto parla di santità perché nell’ospedale vecchio di Monza morì santa Gianna Beretta Molla e su un ragazzo del capoluogo brianzolo venne riconosciuto il miracolo che portò alla beatificazione dei coniugi Martin, genitori, oggi anch’essi santi, di santa Teresa di Lisieux.
In chiesa – dove si conserva una reliquia e una grande immagine di Acutis accanto al tabernacolo -, nella sala intitolata proprio a Louis e Zélia Martin e seduti semplicemente per terra in un corridoio, i giovani, divisi in tre gruppi, ascoltano così, per oltre 2 ore che volano, le testimonianze di Valentina, di medici, infermieri, docenti, pongono domande e a conclusione, recitano tutti insieme la preghiera di Carlo, dopo il breve intervento del vescovo Mario che suona come una consegna.
«Visitate i malati»
«Voglio lasciarvi 3 parole», sottolinea, infatti, l’Arcivescovo: «che vi rendiate conto che ci sono coetanei malati. A volte il rischio è di vedere solo i propri impegni, vivendo in un mondo astratto. Essere coetanei di tutti i ragazzi che hanno situazioni di sofferenza è una scoperta di umanità, perché il mondo non è stato creato e non finisce solo attorno a ciascuno di noi».
Poi, «il prendersi cura», come Gesù che dice, “Ero malato e siete venuti a visitarmi”, l’opera di misericordia corporale che guida la serata. «I malati desiderano non essere lasciati soli e non è necessario essere medici o infermieri per stare loro vicini. Nel rispetto dei protocolli sanitari, prendetevi cura, come atteggiamento normale, di chi avete intorno ed è malato. Fate il proposito, in questo anno del Giubileo, di visitare volentieri almeno coloro che sono più facili da raggiungere come i vostri nonni».
Infine, Dio, sulla scorta di una domanda posta da una ragazza a Valentina.
«Il nostro Dio non manda le malattie, ma manda lo Spirito santo per vivere la malattia, come anche la vita di tutti i giorni, da figli di Dio essendo capaci di amare».
Le testimonianze
Quell’amore e “farsi prossimo” senza risparmio, evidente nelle testimonianze, tra cui particolarmente toccante quella di Momcilo Jankovic, il famoso “Dottor sorriso” che, in 43 anni di servizio al “San Gerardo” come pediatra ed ematologo, già responsabile del Day hospital del reparto di Ematologia Pediatrica, ha seguito circa 3000 bambini e ragazzi, guariti nell’85% dei casi. Tanti i suoi ricordi della serenità e semplicità del beato Acutis, morto di leucemia fulminante in soli 3 giorni nel nosocomio monzese, dove era già arrivato in condizioni molto critiche.
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«Ragazzi, se avete la sfortuna o la fortuna di avere un amico malato, non lasciatelo mai solo, perché questo a volte, con l’interruzione di tutte le attività normali alla vostra età – la scuola, il gioco, le amicizie -, è quasi peggio della malattia», il messaggio del medico che legge alcuni brani di lettere e poesie dei suoi giovani pazienti.
E così è anche per la Caposala di oncologia pediatrica, Claudia, facente parte, come la collega Stella, del “Comitato Maria Letizia Verga”, un’associazione per lo studio e la cura della leucemia nei bambini con sede a Monza e anch’ella impegnata sulla frontiera della malattia e della cura quotidianamente, «cercando di essere sorridenti, anche nel silenzio, ma dicendo sempre la verità».
Molto coinvolgenti le riflessioni delle due docenti della scuola primaria e secondaria e dell’insegnante di storia che operano nei reparti che vedono la presenza di ragazzi in età scolare, per una legge del 1986, già applicata al “San Gerardo” dal 1988.
L’esempio di Valentina
E, naturalmente, c’è Valentina, cui è accanto l’infermiera Stella, che ancora racconta. «Ho fatto diversi cicli di chemioterapia e 3 mesi fa ho subìto il trapianto di midollo osseo, per cui sono ancora in una fase delicata. Sono stata a lungo in isolamento, ma so che appena possibile tornerò a casa. Quello che fa la differenza sono i momenti di leggerezza quando entrano nella stanza, dopo due mesi di solitudine, le infermiere, i volontari e le insegnanti. Io sono una ballerina di pop e questo, forse, è quello che mi manca più di tutto. Uscirò di qui e la prima cosa che farò sarà una passeggiata sul lungo lago di Como con la mia migliore amica».
Quando una coetanea le chiede se non sia arrabbiata con Dio, la risposta è disarmante. «Non mi sono mai chiesta “perché a me”, ma ho capito che la domanda deve essere “perché non a me”. Fare la catechista era un gioia immensa, perché è dai più piccoli che impariamo. No, non mi sono mai sentita arrabbiata con Dio».