Una Chiesa in festa, anzi due, quelle di Milano e di Roma per l’Ordinazione episcopale di monsignor Michele di Tolve.
Ambrosiano di nascita, fino a oggi impegnato in diversi ruoli di rilievo in Diocesi, nominato da papa Francesco vescovo ausiliare della diocesi di Roma e rettore del Pontificio Seminario romano. Tantissimi i fedeli riuniti in Duomo partecipanti alla solenne celebrazione, presieduta dall’Arcivescovo Mario Delpini che ha conferito l’Ordinazione, presenti le autorità militari e civili, in prima fila la vicesindaca di Milano accanto ai primi cittadini di Lainate (città natale di monsignor Di Tolve), Rho (dove ha svolto negli ultimi tre anni il ministero di parroco in San Giovanni Battista e in Sant’Ambrogio ad Nemus a Passirana Milanese di Rho) Cassina De’ Pecchi, Varenna, Novate milanese e la rappresentanza della Città metropolitana di Milano. Accanto i familiari: la madre di don Michele, Esterina, la sorella, le nipoti e altri parenti e amici, i membri delle comunità a cui il vescovo eletto è più legato, gli studenti del Seminario arcivescovile, dove è stato rettore dal 2014 al 2020, e i fedeli giunti da Roma.
Tre i cardinali concelebranti mentre il cardinale Scola si fa idealmente vicino, pur non potendo essere presente in Cattedrale: Angelo De Donatis vicario generale della Diocesi di Roma (conconsacrante insieme al vescovo ausiliare di Milano Luca Rimondi), Oscar Cantoni, vescovo di Como, l’ambrosiano Francesco Coccopalmerio. Una ventina i Vescovi concelebranti in altare maggiore, così come i membri del Cem, i superiori del Seminario, i Canonici del Capitolo metropolitano, e 150 altri sacerdoti nel transetto di san Giovanni Bono. Senza dimenticare la bella e nutrita animazione liturgico-musicale affidata alla Cappella musicale del Duomo e a un gruppo di circa 100 coristi provenienti dalle parrocchie dei paesi citati.
Tutto per dire «grazie e buon cammino» a di Tolve seduto, fino al momento della Liturgia dell’Ordinazione, tra i due presbiteri da lui scelti come assistenti, don Marco Crippa e don Alberto Torriani. È lui che, dopo la presentazione dell’eletto, legge la lettera apostolica del Papa per l’Ordinazione in cui il Santo Padre sottolinea: «Ti esortiamo, o figlio diletto, a svolgere con impegno il ministero episcopale e chiediamo a Dio che ti conceda di brillare nella carità verso i poveri e di servire i fedeli nella gioia con operosa misericordia».
Parole cui segue l’omelia dell’Arcivescovo, ispirata alle letture appena proclamate, tra cui Esodo al terzo capitolo, con la narrazione del dialogo tra Dio e Mosé sulla schiavitù del popolo di Israele in terra d’Egitto.
Chiamati a dare speranza a un popolo senza gioia
«Il popolo ridotto in schiavitù è un popolo senza sogni, è un popolo che ritiene la rassegnazione più sensata della speranza. Si lamenta e grida, ma non si aspetta un liberatore. Non si immagina una terra promessa. Vive in Egitto un popolo scontento, un popolo miserabile, il popolo del lamento senza speranza, della mormorazione senza sogni. Il popolo che grida e si rassegna vive dappertutto, forse vive anche oggi, forse anche nella Chiesa. Un popolo che si ingegna nell’arte di sopravvivere, di adeguarsi: sempre complessato di essere straniero e sempre ansioso di rendersi accettabile, di adeguarsi alle pretese del padrone e di adorare i suoi dei. Il popolo che dice di vivere in una valle di lacrime, ma non desidera la terra promessa, il paradiso».
Eppure nei millenni ci sono sempre stati uomini chiamati a farsi carico di un tale popolo. «Come Mosè – ha proseguito l’Arcivescovo -, gli inviati di Dio al popolo senza sogni, possono trovare solo nell’incontro con il Dio dei padri la luce, la forza, l’iniziativa per seminare speranza e incoraggiare la fiducia nella promessa di Dio. A questo siamo chiamati: alla pienezza della gioia. Questa è l’opera di Dio: il dono della vita fino alla fine. Questa è la terra promessa. la vita eterna, conoscere il Padre e colui che il Padre ha mandato. La Chiesa vive per indicare la via verso la pienezza della gioia, la gioia di Gesù e della comunione trinitaria. Portare la pienezza della gioia a un popolo senza sogni che si accontenta di molto meno, può essere una prova insostenibile se la pienezza della gioia non si alimenta dell’amicizia personale con Gesù».
«Benvenuto nel collegio episcopale»
Da qui, il riferimento del vescovo Delpini ai compiti futuri di monsignor Di Tolve. «Con l’Ordinazione episcopale noi invochiamo ogni grazia per don Michele mentre gli diciamo: benvenuto tra coloro che sono inviati da Dio a farsi carico di un popolo senza sogni. Sappiamo che non ti spaventano le fatiche e le responsabilità. Ma in questo tempo in cui abita un popolo senza sogni, non il profeta solitario, non l’eroe protagonista, ma solo una comunità cristiana che vive intensamente la comunione con il Dio dei padri che alimenta la pienezza della gioia nell’intensa amicizia con Gesù, che riconosce nello spezzare del pane il mistero della morte di Gesù e ne attende la venuta. Solo la Chiesa nella sua comunione può farsi carico della speranza dell’umanità e annunciare il compimento delle promesse di Dio. Ecco: il vescovo consegna quello che ha ricevuto, vive nella tradizione e nella comunione e incoraggia la testimonianza di tutta la Chiesa perché nell’umanità non abiti solo il gemito e il lamento, ma si intoni il cantico della speranza. Benvenuto nel collegio episcopale, nella missione che Dio ti affida».
Un benvenuto che si fa gesto concreto nel «Sì, lo voglio», degli impegni dell’eletto che, per le Litanie dei santi, si prostra sdraiato in altare maggiore, nell’imposizione delle mani da parte dell’Arcivescovo, dei conconsacranti, dei Cardinali e dei Vescovi, e nella preghiera di Ordinazione; nei Riti esplicativi con l’unzione crismale, la consegna del Libro dei Vangeli, dell’anello, della mitra e del pastorale, l’insediamento e l’abbraccio di pace. A conclusione della celebrazione, con il canto del Te Deum, durante il quale l’ormai vescovo di Tolve percorre la navata centrale del Duomo benedicendo e salutando i fedeli.
Il saluto del vescovo di Tolve
«Ti ringrazio, Signore con noi, e ti benedico per la tua Chiesa perché solo grazie a lei ho potuto conoscerti e sperimentare la compassione per me e per le tante persone che mi hai fatto incontrare. Solo così ho scoperto che la vita è vocazione. Grazie perché mi hai chiamato a essere prete». Queste le prime parole con cui monsignor Di Tolve, visibilmente commosso e interrotto più volte dagli applausi, ringrazia anzitutto il Papa – «testimone della tua vicinanza di tenerissimo padre ed esigente maestro» -, l’Arcivescovo, le comunità in cui è nato e ha svolto il suo servizio sacerdotale, la Chiesa di Roma, i confratelli, i compagni di cammino, il Seminario, gli Uffici di Curia di cui è stato responsabile, come l’Irc e la Pastorale scolastica, la sua famiglia, i conconsacranti, i compagni di Messa (fu ordinato presbitero proprio in Duomo il 10 giugno 1989 dal cardinal Martini), i cardinali, appunto, Carlo Maria Martini, Dionigi Tettamanzi, Angelo Scola, Renato Corti. Un pensiero va ai giovani, cari al carisma educativo che ha sempre contraddistinto il neovescovo: «La chiesa ha bisogno di voi», sottolinea.
Insomma, tutta quella diversificata e grande e straordinaria Chiesa ambrosiana «che mi ha formato e a cui devo tutto», come dice ancora, mentre la voce si incrina. «Qui sono stato spronato a non fare della vita un tesoro geloso ed egoistico, ma un servizio vissuto nella gioia a partire da coloro che sono i più piccoli e i più fragili. Ti benedico e ti ringrazio per questo tuo santo popolo e la tua testimonianza di fede».