Link: https://www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/dalloglio-in-dialogo-con-tutti-2813291.html
Sirio 18 - 24 novembre 2024
Share

Personaggi

Dall’Oglio, in dialogo con tutti

Centro ambrosiano pubblica il secondo volume della raccolta delle conferenze inedite del gesuita e fondatore della comunità monastica di Deir Mar Musa, rapito in Siria nel 2013

di Elena BOLOGNESI

9 Settembre 2024
Padre Paolo Dall'Oglio

«Caro Paolo, maestro e amico mio, il secondo volume del tuo “Testamento” sta uscendo in circostanze terribili». Inizia così la lettera aperta di padre Jihad Youssef che introduce le pagine di Dialogo sempre con tutti (Centro ambrosiano, 272 pagine, 20 euro), secondo volume della raccolta delle conferenze inedite di padre Paolo Dall’Oglio, gesuita e fondatore della comunità monastica di Deir Mar Musa, nel deserto della Siria. Padre Jihad è l’attuale superiore della comunità e le «circostante terribili» di cui parla sono i venti di guerra che non smettono di soffiare sul Medio Oriente. Per la Siria e la sua gente, per le popolazioni mediorientali in generale, è la conferma che la prospettiva di soluzioni pacifiche è ancora un lontano miraggio, in una nuova escalation di violenza, che porta morte insieme a odio e divisione, povertà e privazioni di ogni tipo.

Paolo Dall’Oglio è stato rapito a Raqqa, in Siria, il 29 luglio 2013. Le sue posizioni a favore della riconciliazione e della pace gli erano costate l’espulsione dal Paese a giugno 2012, un anno dopo l’inizio del conflitto. Rientrato poi clandestinamente a Raqqa, nel nord della Siria, per mediare la liberazione di due vescovi rapiti (i vescovi siro-ortodosso e greco-ortodosso di Aleppo), è stato rapito lui stesso. Di lui non si hanno più tracce.

Con il volume Il mio testamento, il Centro ambrosiano ha iniziato lo scorso anno la pubblicazione delle conferenze, pronunciate in arabo alla comunità e agli ospiti del monastero, in cui padre Dall’Oglio ripercorre l’itinerario di vita e di fede che lo ha portato a scegliere il Medio Oriente, e la Siria in particolare, come Paese di adozione e il contesto arabo-islamico come luogo privilegiato e profetico di incarnazione della sua vocazione di gesuita e di fondatore di una innovativa esperienza monastica. I testi prendono spunto dalla prima Regola della comunità e affrontano tutti i temi cari al gesuita italiano e alla sua comunità che ne porta avanti il lascito spirituale e che ruotano attorno alla dimensione del dialogo, «sempre e con tutti» come sintetizza il titolo del secondo volume. Dialogo all’interno della comunità, composta da uomini e donne con la stessa dignità e responsabilità, ma anche una comunità ecumenica, specchio di una realtà, quella mediorientale, che vede la compresenza di Chiese di differenti tradizioni, cattoliche, ortodosse e protestanti. E poi dialogo ecumenico e interreligioso con le istanze religiose presenti nella regione, soprattutto con il mondo islamico, che rappresenta l’assoluta maggioranza della popolazione, nelle sue diverse componenti. Prima della guerra i cristiani in Siria rappresentavano il 10% della popolazione; oggi la presenza cristiana è considerevolmente ridotta a motivo dell’emigrazione durante gli anni del conflitto. Si stima che siano rimasti meno di 250 mila cristiani, ma si tratta di calcoli quasi impossibili da verificare.

Proprio alle sfide del dialogo è dedicato il secondo volume di quello che possiamo considerare il «testamento spirituale» di padre Dall’Oglio, con un punto di partenza che può forse sorprendere: «Il dialogo tra un uomo e una donna – afferma il gesuita – è molto più difficile del dialogo tra un musulmano e un cristiano, e molto più fondamentale. Perché la differenza tra un musulmano e un cristiano è religiosa, intellettuale, culturale e storica, ma la differenza tra un uomo e una donna non ha soluzione». La comunità come palestra di dialogo, dunque, a tutti i livelli, nello spirito del farsi «tutto a tutti» (cfr. 1Cor 9,22).

Nel libro sono state incluse alcune conferenze che non riprendono il testo della Regola della comunità: pagine di confidenza autobiografica ma anche uno sguardo toccante su quello che stava accadendo in Siria e che offre ancora preziosi spunti di riflessione sulla nostra attualità. Parole pronunciate in occasione del Triduo pasquale del 2012, mentre cresceva la violenza del conflitto e Dall’Oglio presagiva che la sua espulsione potesse presto diventare effettiva. Al centro del discorso troviamo il tema della violenza e della nonviolenza, non solo tra le parti in conflitto, ma a partire dalla coscienza del singolo, dalle sue relazioni, all’interno della Chiesa e a livello globale. Il punto di partenza per un cristiano rimane la mitezza di Gesù e il suo consegnarsi nonviolento, anche quando appare una via irrealizzabile anche per i suoi discepoli (basti pensare alla spada estratta dall’apostolo Pietro nella notte del Getsemani).

Per la comunità di padre Dall’Oglio, scegliere la nonviolenza nel Medio Oriente di oggi significa rimanere, con una mitezza di sapore evangelico, perché odio e divisione non abbiano l’ultima parola. Scrive padre Youssef nell’Introduzione al libro: «Sappiamo che essere discepoli di Cristo in questa terra non è un caso, capiamo che abbiamo una missione, anzi, che siamo una missione. Il desiderio più profondo del nostro cuore è di amare Dio infinitamente, e ciò rende il resto possibile e bello».

Quei mille modi di fare resistenza non violenta

In questo stralcio del volume padre Paolo risponde a chi lo interpellava sulla guerra civile:

«In questi giorni i media mi chiedono: «Qual è la sua posizione sulla possibilità di una guerra civile? Qual è la sua posizione sull’armamento dell’opposizione?». Rispondo: «Sono un monaco nel deserto! Volete che mi schieri con un esercito contro un altro, o con un gruppo contro un altro, o con uomini armati contro uomini armati, quando la vera e profonda necessità è quella di rifiutare la logica del conflitto armato?». Per questo, in un lampo di follia, ho chiesto che 50 mila volontari non violenti e pacifici venissero in Siria a spegnere l’incendio con le loro vesti. L’ho vista come una responsabilità della comunità globale di fronte a questa crisi localizzata, che è però parte integrante di questioni internazionali. (…)
Non sappiamo cosa succederà nel Paese, e io non sono un indovino, ma un monaco in un monastero nel deserto. Ma dico: senza un atteggiamento di rinuncia, anche della forza, per affrontare la questione della violenza, la maledizione continuerà a colpire la nostra società e la comunità internazionale. Senza un atteggiamento di rinuncia, possiamo solo far nascere i nostri figli nella violenza, nella lotta e nell’odio, e questo è ciò che non vogliamo più. La nostra posizione riguarda la Siria di oggi, di domani e di dopodomani. Quindi considerate bene dove collocare la vostra scelta, dove collocare la vostra dimensione e dove collocare le vostre energie. (...)
Penso che, di fronte a questo conflitto in cui si ricorre sempre di più alla violenza (e non alla «forza»), dobbiamo custodire il maggior numero possibile di persone pacifiche, miti, ma anche attive, che lavorano per i diritti umani, che si prendono cura degli sfollati, ecc. Ci sono mille modi di fare resistenza non violenta contro l’ingiustizia - con le immagini, con le parole, con la penna - affinché si apra un ponte (e non parlo solo dei cristiani, ma di tutti i cittadini) e affinché sia assicurata una cartilagine morbida a questo ginocchio di ossa che sfregano tra di loro, in guerra!».