Le istanze pastorali della Chiesa di oggi e il compito della teologia, titolo della Lectio magistralis di monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e già preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, potrebbero essere insieme l’immagine e la sintesi dell’inaugurazione dell’Anno accademico della stessa Facoltà. Evento atteso e importante, che in questo 2017-2018, vede anche la memoria del 50° di fondazione dell’Ateneo. Forse anche per questo, l’ampio e storico corridoio che funge da aula magna per i lavori, è gremito come mai di docenti, sacerdoti, religiose e laici, studenti ed ex-alunni. Accanto a monsignor Brambilla, l’Arcivescovo («il mio gemello vescovo», dice scherzosamente Brambilla stesso, alludendo alla loro Ordinazione episcopale avvenuta lo stesso giorno nel 2007), il preside della Facoltà don Massimo Epis e ilpreside dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano don Alberto Cozzi.
A tutti si rivolge, all’avvio, monsignor Delpini, parlando dell’inaugurazione come di «un motivo di gioia, di festa e di trepidazione». «Forse dobbiamo domandarci come si possa governare questa macchina complessa e prestigiosa e come vi si possa studiare, preservando la gioia dell’essere insieme nella vocazione comune a servire la Chiesa». Insomma, volendo vivere l’anno accademico attraverso «quel modo di pensare che ama la verità anche se ci sono sempre nemici della gioia pure nel lavoro intellettuale e nel servizio ecclesiale». Dunque, una gioia d’insieme capace di stemperare immancabili «tensioni, magari aspettative mancate», promuovendo «percorsi condivisi di servizio e un’offerta di luce anche per i Pastori della nostra Chiesa». Il pensiero dell’Arcivescovo torna alla sua assidua frequentazione della Facoltà, sia come studente, sia negli anni successivi: «Mi aspetto un aiuto e dei consigli perché apprezzo il lavoro che qui si fa e ritengo che il mio ruolo di Gran Cancelliere (quello che egli ricopre attualmente come Arcivescovo, ndr) non sia decorativo».
L’applauso che saluta la conclusione di Delpini è anche per il preside Epis che, subito dopo, ricorda il progetto della Facoltà teologica benedetto da Paolo VI nel 1967, «con alcune prospettive ancor oggi lungimiranti. Una Facoltà Interregionale, come si chiamava al suo sorgere, inaugurata ufficialmente il 7 marzo 1968, «con l’obiettivo di accogliere il Concilio e di adempiere a un desiderio di Montini stesso, facendo dell’Ateneo un ponte tra l’Italia e l’Europa». Non a caso, la sede fu collocata nel cuore della città «per declericarizzare la teologia».
Per questo rilevante 50 sono molte, allora, le iniziative promosse, da un Corso multidisciplinare “alla prova dei giovani” alle proposte del Centro Studi di Spiritualità, realizzate in collaborazione con alcuni Servizi dell’Arcidiocesi, fino a un Corso guidato da docenti della Ftis e dell’Università San Raffaele. E, ancora, la convenzione formale con l’Università Cattolica, ormai imminente, che porterà gli studenti della Facoltà a poter mutuare Corsi dell’ateneo dei cattolici italiani, promossi proprio nell’ottica di un cammino di insieme, veramente cattolico.
La Lectio magistralis
Infine, è monsignor Brambilla a disegnare un articolato e profondo excursus sulla storia di questi 50 anni e relativo agli sviluppi recenti della Teologia, anche alla luce del Magistero petrino e della visione ecclesiologica di Francesco. Ancora una volta torna la parola gioia con Evangelii Gaudium e «la domanda sulla Chiesa come luogo del Vangelo, anzi della gioia del Vangelo». «Su questo punto riemerge l’istanza che aveva promosso la nascita della Facoltà, di aprire la teologia ai laici e per i laici. Un’opportunità ancora oggi storica per mantenere «concentrata l’attenzione sulla figura testimoniale della Chiesa e sul cristiano come la sfida più radicale che la proposta avanzata da papa Francesco restituisce alla Chiesa e alla teologia».
La Celebrazione Eucaristica in San Simpliciano
Se la gioia, quindi, è la parola-chiave del momento accademico, la città inospitale e l’annuncio del Regno di Dio lo sono nella Celebrazione Eucaristica che l’Arcivescovo presiede nella basilica di San Simpliciano, contigua alla Facoltà.
Concelebrata da oltre 20 sacerdoti, tra cui i vescovi Brambilla e Martinelli, la Messa è così anche il modo migliore per riflettere, a partire dal Vangelo di Luca al capitolo 10, relativo alla Missione dei discepoli, sul ruolo dei teologi e della scuola che li forma.
«Gli inviati per annunciare il Regno di Dio incontrano porte chiuse e persone indisponibili. La parola che annuncia la salvezza è sentita come un disturbo, come un’ingerenza fastidiosa. L’augurio e il dono della pace risultano sgradevoli per quanto possa sembrare sconcertante», scandisce, nell’omelia, Delpini.
Ma perché questo? «La città è inospitale perché i discepoli del Signore vengono da altrove, sono stranieri ed estranei rispetto alla città. La presunzione rende impermeabili alla parola che annuncia che la salvezza è un dono e viene da altrove».
E, forse, si è sordi anche perché l’annuncio del Signore può essere “scomodo”, perché chiama alla conversione dei cuori.
Sembra, allora, di toccarla con mano la Milano che, proprio qui, nel cuore della movida di Brera che già si sta animando fuori dalla Basilica, non vuole sentire la parola «che inquieta, che contesta la città mercato dove si vive per vendere e per comprare; contesta la città, paese dei balocchi dove si vive per divertirsi, contesta la città disperata, dove si vive come condannati a morte, contesta la città armata, dove si vive nella paura degli invasori e l’ossessione di difendere il proprio privato isola le persone nel sospetto e nell’egoismo».
Quella città che può essere – e molto spesso lo è – inospitale anche per studiosi e studenti di teologia che vivono l’esperienza «dell’essere respinti, di essere superflui, di essere una presenza più sopportata che desiderata».
Laddove la tentazione di fronte a tutto questo, è quella di omologarsi, di piacere al mondo, di mascherarsi, di non essere impopolare, è proprio in un tale contesto, suggerisce l’Arcivescovo, che nasce la scelta cruciale: annunciare o non annunciare.
«C’è la tentazione di sviluppare un pensiero teologico, un discorso che eviti accuratamente di essere impopolare; di ritagliarsi un angolo rassicurante, di costruirsi una fortezza in città, di isolarsi in una torre d’avorio. Il pensiero magari è audace, ma non sa confrontarsi. Anche questo è un rischio della teologia: di divenire un luogo dove si coltivano pensieri impegnativi e penetranti, ma fatti solo per coloro che sono già d’accordo».
Da qui la consegna: «Il servizio che il pensiero teologico e l’insegnamento della religione possono offrire è che il Regno deve essere annunciato: è troppo pericolosa la situazione della città che vive senza una speranza, senza una apertura al Signore che viene. Perciò l’inviato deve insistere con la parola che denuncia il male, che chiama a conversione, che argomenta per chi vuole ascoltare argomenti, che offre ragioni per sperare».