Trovare il lavoro, per chi è stato in carcere, è una strada in salita. Doppiamente complicata da percorrere in tempi di crisi. Per questo è nato «Zona franca», il nuovo progetto di formazione professionale del Fondo famiglia-lavoro, annunciato dall’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, durante il convegno «Investire su chi ha perso l’occupazione», lo scorso 8 settembre.
L’iniziativa è rivolta, in particolare, ai detenuti entrati in carcere non prima del 2011 che stanno scontando l’ultimo periodo della pena all’interno degli istituti o affidati ai servizi sociali. Per conformità con i criteri con cui opera il Fondo famiglia-lavoro, si è stabilito che potranno avere accesso a «Zona franca», solo persone che siano recluse e residenti nel territorio della Diocesi di Milano e che fuori dal carcere abbiano almeno un figlio a carico. I beneficiari saranno segnalati dai cappellani, dagli operatori penitenziari e dai volontari impegnati in carcere agli operatori dell’Area carcere di Caritas ambrosiana. Questi ultimi compileranno e invieranno la richiesta di aiuto alla segretaria del Fondo che, a sua volta, verificherà i requisiti. Riconosciuta la conformità della richiesta, sarà la Fondazione San Carlo, specializzata in progetti di housing sociale e inserimento lavorativo, a organizzare il corso di formazione professionale corrispondente al profilo dei detenuti che hanno avuto accesso al progetto e alla richieste del mercato. Il Fondo famiglia-lavoro coprirà il costo dei corsi.
«In genere ci occupiamo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni di vita all’interno delle carceri, di informare e orientare i detenuti ai servizi, di offrire sostegno a chi esce o sta per uscire dal carcere. In questi ultimi anni, l’attenzione alle questioni lavorative ha occupato sempre più spazio – osserva Ileana Montagnini dell’Area carcere di Caritas ambrosiana -. Anche se si sono saldati i conti con la giustizia, l’esperienza carceraria è una macchia difficile da cancellare e lo stigma sociale diventa un ostacolo pressoché impossibile da superare soprattutto quando le opportunità di lavoro si riducono, come è accaduto in questo periodo, con l’arrivo della crisi». Ed è proprio la difficile situazione sociale che rischia a questo punto di generare un circolo vizioso. «Naturalmente esiste una stretta connessione tra povertà, disagio abitativo e lavorativo e percorsi penali. Tra la popolazione detenuta sono particolarmente diffuse situazioni di irregolarità e precarietà abitativa e lavorativa già prima della detenzione, così come le stesse fragilità si ritrovano nei nuclei familiari delle persone ristrette. D’altro canto, la precarietà lavorativa ostacola la buona riuscita dei percorsi di reinserimento sociale alla fine della detenzione, precludendo tra l’altro la possibilità di accedere alle misure alternative che, come è stato spesso dimostrato, rappresentano uno strumento molto più efficace del carcere per ridurre il fenomeno della recidiva», osserva Montagnini.
Per spezzare il corto circuito, tra povertà e carcere, e favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti Caritas opera da tempo con i suoi servizi. Ora, grazie al progetto «Zona franca», questa attività diventa uno degli interventi sostenuti dal Fondo famiglia-lavoro. Una nuova opportunità per i quasi 4 mila detenuti al momento ristretti negli istituti penitenziari presenti nel territorio della Diocesi di Milano.