«Quest’anno registriamo un aumento nel numero dei catecumeni: si tratta di 83 persone, mentre nel 2023 erano 72. Un dato certamente incoraggiante, anche perché circa la metà di loro ha tra i 15 e i 30 anni». Don Matteo Dal Santo, responsabile del Servizio per la Catechesi e della Sezione Catecumenato, esprime con queste parole la sua soddisfazione per la “classe” dei catecumeni 2024, definiti «un segno di speranza», che dopo due anni di cammino – nel quale sono sempre stati affiancati da un accompagnatore o accompagnatrice – giungono nel periodo pasquale a ricevere i sacramenti dell’Iniziazione cristiana.
Perché si sceglie di diventare cristiani in una società che oggi pare così poco interessata ai temi della fede?
Di solito, alla base di questa richiesta, ci sono sempre domande aperte sul senso dalla vita, magari maturate in momenti dolorosi, oppure gioiosi. Per esempio diverse persone incontrano il cristianesimo tramite la persona con cui vorrebbero poi condividere l’esistenza, e quindi sposarsi, o attraverso le famiglie di questa. È assai frequente che le grandi domande sorgano attorno al consolidarsi dei legami affettivi o di fronte alla sofferenza. È interessante che qualche volta – e quest’anno abbiamo diversi casi -, si scelga il cammino del catecumenato per una ricerca personale di riflessione, direi, filosofica. L’altro elemento fondamentale è legato agli incontri personali, nella comunità, in parrocchie vive e vivaci, con persone che testimoniano la fede. Tutto ciò fa vedere che il Signore apre il cuore di uomini e donne anche in questo tempo, attraverso il desiderio di diventare cristiani. e che ci sono ancora persone che vivono la fede in modo luminoso, accendendo la luce negli altri. Anche quest’ultimo mi sembra un altro segno bello di speranza.
Quali sono le attese dei catecumeni che entrano a far parte della comunità cristiana?
Il primo desiderio è sicuramente quello di essere accolti, di trovare qualcuno che li accompagni. Inoltre desiderano vivere un’esperienza di fraternità. Diversi di loro mi hanno detto che la comunità cristiana è diventata un poco come un’esperienza di famiglia. Direi, quindi, che insieme alla fede ricercano una familiarità.
Qual è, invece, la difficoltà più grave o frequente che incontrano?
Torniamo alla questione centrale dell’accoglienza, perché qualcuno fa fatica a sentirsi accettato. Non tutte le nostre comunità sono allenate ad accogliere persone che provengono da altre esperienze religiose, oppure che chiedono di diventare cristiani da adulti. Poi vi è anche la preoccupazione per un cammino impegnativo di due anni, vissuto con incontri quasi settimanali che, come è evidente, incidono nella vita di gente che, essendo adulta, studia o lavora. La proposta è esigente: leggono tutto il Vangelo di Marco, per introdursi nelle verità fondamentali della fede; vivono esperienze di vita cristiana, come la preghiera di comunità o il servizio; frequentano anche alcuni ritiri proposti nelle Zone pastorali. E, naturalmente, c’è la preoccupazione di rimanere fedeli alla scelta fatta.
In che senso?
Il momento più delicato è quello che segue la celebrazione dei sacramenti, quello cosiddetto della “mistagogia”, in cui sono chiamati ad appropriarsi in modo personale dei doni ricevuti e a proseguire nell’inserimento nella vita della comunità. Talvolta vi è qualche inciampo, ma nella maggioranza dei casi l’entusiasmo e la volontà di essere parte della comunità cristiana prevalgono e l’itinerario prosegue senza difficoltà. Noi chiediamo agli accompagnatori di seguirli in modo particolare in questo passaggio, subito dopo aver ricevuto i sacramenti, per dare continuità al percorso e aiutare a inserirsi concretamente in una comunità.