Prove bibliche della Pasqua di Gesù
Con un bel po’ di fantasia e di attenzione a un testo sacro i primi cristiani cercarono indizi o prove della risurrezione di Gesù nell’Antico Testamento. Ne pescarono una nel lungo Salmo 118, precisamente là dove esso parlava di una misteriosa pietra scartata dai costruttori e diventata invece testata d’angolo, ossia pietra fondamentale o chiave di volta di un nuovo edificio (v. 22). Ma l’immagine va colta in tutto il complesso del Salmo.
Esso alterna continuamente parole e sentimenti di una persona singola e di una comunità, precisamente del popolo di Israele in un momento della sua lunga storia precristiana, non facilmente precisabile per noi. L‘inizio è chiaramente comunitario: Rendete grazie al Signore Dio d’Israele… Dica la casa di Aronne (ossia la tribù di Aronne, quella sacerdotale, che presiedeva il tempio e il suo culto)… dicano tutti quelli che temono il Signore, ossia chiunque in Lui confida e non negli idoli, chiunque ne abbia il santo timore, dica il suo amore è per sempre, esso supera le nostre debolezze, i nostri peccati, le nostre ore di timore per varie difficoltà della vita.
L’esistenza di un uomo in corteo
Il Salmo quindi passa appunto a pennellare momenti difficili di un individuo che teme il Signore: Nel pericolo… in mezzo a tanti nemici, a nazioni che mi assediavano come fuoco e sciami di api…che cercavano di farmi cadere.. Ma nel nome del Signore le ho distrutte e Lui è stato la mia salvezza. Non morirò e resterò in vita…mi ha castigato duramente (per miei peccati), ma non mi ha consegnato alla morte e annuncerò le opere del Signore. Apritemi le porte della giustizia quelle cioè del tempio, dove si annuncia e celebra la giustizia di Dio, ossia la sua fedeltà misericordiosa. E’ proprio in questo contesto che spunta come da un terreno sassoso la frase: La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo. Questo ha fatto il Signore: una meraviglia ai nostri occhi, ossia qualcosa di strepitoso e inaspettabile.
Ma il discorso torna dall’io al noi e diventa come un inno di gente in processione, in corteo, probabilmente anche in una occasione solenne come la costruzione del tempio di Gerusalemme: quale? Quella voluta dal re Salomone verso il 940 a.C.? O una delle sue ricostruzioni verso il 520 a.C. o forse meglio qualche secolo dopo ancora? O magari anche quella voluta dal grande e terribile Erode con il 20 a.C… magnifica e protrattasi per alcuni decenni? Difficile scegliere. Comunque il Salmo allude a qualcuna di quelle date e relative feste solenni, come uno dei numerosi segni dell’amore di Dio per il suo popolo.
Ecco le allusioni alla festa e ai suoi cortei: Grida di giubilo e di vittoria nelle tende dei giusti, la destra del Signore ha fatto prodezze…Questo è il giorno che ha fatto il Signore, rallegriamoci in esso ed esultiamo… il Signore è Dio, egli ci illumina. Formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell’altare. E a cori alterni: Benedetto colui che viene (un sacerdote, un re in pompa magna per guidare i cortei? O i cortei stessi di pellegrini festanti?), noi vi benediciamo dalla casa del Signore.
Un corteo che guarda avanti
Tutti insieme invochiamo anche una sempre nuova salvezza e sempre nuove vittorie: Ti preghiamo Signore: dona la salvezza, dona la vittoria. Intanto cantiamo la gioia comune: quella partita da una singola persona e allargatasi alla comunità: Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie… Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. Un piccolo particolare: “rendere grazie” corrispondeva al greco “eucharistèin” e al nostro “fare eucaristia”. Ma per la Chiesa è un rendere grazie soprattutto per qualcosa di veramente mirabile come la vicenda “scandalosa e umanamente folle” di un colpito duramente, crocifisso ma non per i suoi peccati, però poi liberato dalla morte e passato una nuova vita: “alla destra di Dio Padre”. Per la gioia sua e di tutto il mondo, soprattutto per tutti i timorati di Dio, dovunque essi si trovino. Tutti possiamo formare cortei gioiosi e formare un’unica Eucaristia.
Tutto ciò è vero, però non solo per la Chiesa in quanto tale, ma anche per ogni singola persona, per le sue vicende personali, più o meno simili a quelle di Gesù. Perciò anche il Salmo 118, pur così complesso, può specchiare anche “me”, colpito magari da tanti mali ma sempre chiamato a vivere e annunciare la gioia pasquale nel mio piccolo o ampio contesto vitale, a cominciare da quello della casa. A patto che quella speranza gioiosa sia ben radicata e alimentata nel mio cuore. A questo serve la lettura della Parola, insieme con la Chiesa. Particolarmente nel momento eucaristico domenicale, che il concilio ha chiamato “culmine e fonte” di tutta la liturgia cristiana, anzi di tutta la vita cristiana, pur senza dimenticarne altri momenti personali e comunitari.
Mi piace qui ricordare il messaggio di Zizioulas, un vescovo greco-ortodosso attuale sull’Eucaristia: nella celebrazione eucaristica, al di là delle varie differenze e divisioni storiche e ancora vigenti, purtroppo, manteniamo vivo in tutti che nell’Eucaristia già formiamo un unico “corpo”, perché unico è il suo Pane e il suo sangue. Riscoperta mirabile anche per la realtà delle nostre famiglie, comunità, chiese. Davvero mirabile quanto proclamiamo per il mistero pasquale: in greco “Christòs aneste”, cioè davvero Cristo è risorto e vive! Ne rendono testimonianza tanti pur nel dolore eppure capaci di trasmettere una buona novella.