Da Cuba, attraverso la regolare corrispondenza con l’Ufficio missionario diocesano, ci pervengono le testimonianze di due sacerdoti ambrosiani fidei donum nell’isola, don Ezio Borsani e don Marco Pavan. Ne pubblichiamo alcuni stralci.
«Quest’anno il Natale mi fa pensare al “cammino” – scrive don Ezio -. E questo per la situazione che vive la nostra gente attualmente: la sento identificata con il bambino Gesù appena nato e con Giuseppe e Maria: sempre in cammino. Anche noi. In cammino per strade che magari non abbiamo deciso, le ha decise l’Impero. O per strade anche di fuga, di fuga dal male che minaccia, da situazioni di non-vita, strade che ci portano lontano da dove eravamo, in ricerca di nuove opportunità. O strade che ci fanno tornare indietro, ci fanno fare una inversione a U, un ritorno, ma nuovi, e nella terra di prima che però appare nuova».
Borsani descrive il cammino che sta facendo il popolo a Cuba: «È faticoso, duro, angosciato, senza capire bene dove conduce. La situazione economica e sociale continua a essere molto complicata. Per questo, per molti il cammino diventa quello di chi migra, lascia tutto e si arrischia per strade anche pericolose pur di arrivare a una terra dove possa iniziare da capo. Di questa emorragia ne soffre il Paese, che perde le forze più giovani, più capaci, più attive. Ne soffriamo anche noi come Chiesa, che vediamo animatori e persone attive nella pastorale lasciarci e lasciare un vuoto difficilmente colmabile».
Ma il sacerdote non demorde: «Eppure dobbiamo camminare, non fermarci a lamentarci o sederci a solo discutere del perché e del come le cose stanno. Bisogna andare avanti, chiedendoci cosa il Signore vuole da noi oggi, dove vuole che andiamo, che strade nuove ci indica, in che ci chiede di convertirci. La nascita di Gesù mette in viaggio Maria e Giuseppe, mette in viaggio noi popolo di Dio, anch’io ricevo l’invito ad alzarmi ed andare dove il Signore mi vuole».
E così conclude: «Questo annuncio del “cammino” che riceviamo dal Natale, ci fa anche capire che in cammino è lo stesso Gesù: è nato in cammino, e subito ha dovuto seguire cammini non previsti, un Esodo di andata e ritorno perché lui, che è la vita, arrivasse a noi. Se Gesù è in cammino, “accogliere” sarà l’altra parola che, insieme a “cammino”, ci viene consegnata».
Risvegliare il senso del Natale
I problemi della popolazione tornano anche nello scritto di don Marco Pavan, che parla della «fila interminabile» alla distribuzione dei farmaci che ha portato dall’Italia: «C’è sempre molta gente disperata, perché nelle farmacie non si incontra nulla e al mercato nero i prezzi sono proibitivi». Problemi anche dai risvolti più banali: «Da settimane siamo alla ricerca di beni di prima necessità, tra cui la carta igienica e la pasta, che sono introvabili nei negozi, anche in quelli in dollari… Questo semplice esempio fa capire il grado di difficoltà della vita quotidiana e quanto essa porti via energie, risorse umane e spirituali e tempo utile».
Non ci sono neppure carri funebri: «Per questo si è giunti a una soluzione estrema: ogni centro di lavoro statale deve mettere a disposizione un mezzo di trasporto durante l’emergenza. E così l’altro giorno c’era il camioncino dei polli a guida del corteo funebre, ieri una macchina con la cassa infilata nei sedili posteriori e le portiere aperte, oggi un camion di quelli per il trasporto della terra… si ride per non piangere e per non farsi prendere dalla rabbia o dalla disperazione».
C’è poi l’aspetto dell’esodo incessante: «Ogni giorno aumenta il numero delle persone che se ne vanno, con qualsiasi mezzo: nel 2022 ha lasciato l’isola il 2% della popolazione; se si tiene conto che gli infanti, gli anziani, i malati non migrano, allora diventano chiare le proporzioni del fenomeno… siamo intorno al 10% della popolazione in età di lavoro; siamo di fronte alla migrazione più grande dall’epoca della Rivoluzione. Non c’è famiglia che non stia vivendo il dramma di chi parte, di un viaggio carico di insicurezze e pericoli, di un mondo inedito che si dischiude, che attira e nel contempo fa paura. Non possiamo che stare vicini a chi resta, e vive il dramma di una separazione, con dolcezza e affetto».
Una situazione di cui in Italia si sa poco o nulla: «Questo è abbastanza comune… quanto si conosce della situazione nello Sri Lanka o in Angola o in Bangladesh? Però, molte volte a proposito di Cuba assistiamo a un fenomeno aberrante: tanti “giornalisti” italiani che ammiccano a Cuba e hanno il mito della Revolución, che continuano a descrivere la situazione cubana come positiva; tanti turisti che rientrano in Italia, convinti di aver visto la “vera” Cuba, semplicemente perché hanno alloggiato in una casa particular e hanno visitato i quartieri “non turistici” dell’Havana (senza accorgersi che hanno semplicemente visto ciò che il regime ha permesso loro di vedere)! Piuttosto che parlare di Cuba in questi termini, meglio non parlarne: è più onesto e rispettoso delle tante persone che soffrono».
Pavan ricorda anche che «venticinque anni fa il 25 dicembre veniva dichiarato giorno festivo, incrinando così l’ateismo di stato iniziato con la revolución. Erano pochi giorni prima della storica visita di Giovanni Paolo II nel gennaio del 1998. Erano anni in cui la Chiesa, dopo essere stata costretta al silenzio e all’insignificanza, dopo aver vissuto discriminazioni e umiliazioni, viveva un tempo di fervore ed entusiasmo. Col tempo quell’entusiasmo si è un po’ sopito e ci si è un po’ seduti. Non c’è molta coscienza che Natale sia un giorno speciale. Forse come comunità cristiana abbiamo il compito di risvegliare il senso del Natale».