«“Per me vivere è Cristo”. Paolo con la sua parola tagliente ci aiuta oggi a ritrovare l’essenziale, Gesù, e a vivere per lui. È Gesù stesso che ci accoglie, porta il peso dei nostri peccati e ci invita a vivere come pellegrini di speranza».
Il passaggio della Porta Santa
L’Arcivescovo che, nella mattina del passaggio della Porta Santa della basilica di San Paolo fuori le Mura, si confonde tra i pellegrini ambrosiani che si affollano, dice così, avviando la celebrazione eucaristica alla quale prendono parte 3000 fedeli giunti da ogni parte della Diocesi per il pellegrinaggio giubilare e «per vivere questo momento atteso e che, comunque – come racconta Maria Luisa che arriva dalla Brianza e da pochi secondi ha oltrepassato la Porta – non mi aspettavo tanto intenso».

«Abbiamo bisogno di speranza, ci dice il Papa e l’Arcivescovo Mario invita a non ripiegarci sulla rassegnazione. Questa è la dimostrazione che si può testimoniare con gioia e semplicità la nostra fede, in un contesto del mondo che pare non lasciare spazio altro che a guerre e dolore», aggiunge Roberto, che invece, con i suoi amici parrocchiani viene, dalla “Bassa”, della Zona pastorale VI.
I gruppi che, già di primo mattino, hanno raggiunto il grande complesso di San Paolo, sotto un sole un po’ incerto, ma poi sempre più caldo, si preparano pregando, leggendo brani della Scrittura, della Bolla di indizione giubilare di papa Francesco e della Proposta pastorale 2024-2025 dell’Arcivescovo che lui stesso ha indicato come riferimento per la riflessione anche nei giorni del pellegrinaggio.

Mentre all’interno delle navate laterali della Basilica si formano lunghe code davanti alle semplici sedie dove i sacerdoti, come pure i Vescovi ausiliari e i Vicari episcopali, confessano i fedeli per oltre un’ora, il clima, vicino all’altare papale e agli improvvisati confessionali, è di preghiera e raccoglimento, ma nel quadriportico antistante l’entrata e tra le 80 colonne in granito che reggono la struttura non manca la gioia e la serena condivisione di sensazioni, esperienze, ammirazione per la bellezza della Basilica che sorge sul luogo dove, secondo la tradizione, fu sepolto l’apostolo Paolo. Meta ininterrotta di pellegrinaggi fin dal 1300, quando in occasione del primo Anno Santo entrò a far parte dei percorsi giubilari e vi si aprì la Porta Santa.
La celebrazione
Dopo il benvenuto dell’abate di San Paolo, dom Donato Ogliari, nativo di Erba in Diocesi, che porta il saluto della comunità benedettina – «presente qui da 14 secoli» – i 12 Kyrie sottolineano la solennità della celebrazione officiata in rito ambrosiano. Più di un centinaio i presbiteri concelebranti e 5 Vescovi, il Vicario generale Agnesi, gli ausiliari Raimondi e Vegezzi, Michele Di Tolve, ausiliare di Roma, e Flavio Pace, segretario del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, entrambi originari della nostra Chiesa.
Nel contrasto tra la memoria che non dimentica e quella “purificata”, rivolta alla speranza, si annoda l’omelia dell’Arcivescovo.
«Il passato è una miniera dove sono custoditi i tesori. Il passato è anche una discarica dove si buttano le cose che non si vogliono più tenere. Il passato è un peso da portare. Nella memoria sono conservate le umiliazioni subite, quelle che ancora alimentano rabbia e risentimento, sono vive le esperienze dolorose, le ferite ingiuste, inaspettate. Nella memoria si conservano opere e pensieri, inadempienze e cattiverie che ancora sono motivo di vergogna, anche dopo tanti anni: ancora sorgono sensi di colpa per quella parola che ha offeso la persona amata, per quel silenzio che ha taciuto la parola necessaria, per quella decisione sbagliata che ha fatto nascere il sospetto», sottolinea, indicando le caratteristiche di una «memoria che inquina, fa ammalare e dà la morte». Ma noi celebriamo il Giubileo «proprio perché la memoria malata possa guarire e ci possa finalmente sentire liberi e leggeri», avverte subito dopo.
Così, perciò, si può vivere il Giubileo, con la remissione dei peccati e il condono delle pene dei peccati, con una memoria guarita che è un momento di Grazia, come l’Arcivescovo stesso ha definito il pellegrinaggio.

«La memoria guarita»
«La memoria guarita, infatti, non è la decisione di “mettere una pietra sopra” per dimenticare il male compiuto o il male subito, piuttosto è la disponibilità all’opera di Dio che libera e salva. Così che anche le esperienze dolorose propiziano la via della sapienza; anche il male subito insegna quanto può essere doloroso il male e ispira il proposito di evitare di far del male agli altri; anche i peccati di cui si prova vergogna e senso di colpa possono diventare come ferite dentro le quali il Consolatore porta il rimedio della misericordia. La memoria invece che essere malata di malessere e risentimento può essere guarita diventando un patrimonio per alimentare la riconoscenza, disponibili all’opera di Dio, e ispirando il futuro».
Con quei tre frutti che monsignor Delpini esemplifica attraverso le Letture, dal Deuteronomio, dalla Lettera paolina ai Romani e dal Vangelo di Matteo 12, appena proclamate.

I frutti della vita nuova
«Un primo tratto della vita nuova raccomandato da Mosè nel Deuteronomio è la magnanimità, la generosa sollecitudine verso i poveri che diventa il criterio per gestire le nostre risorse, i nostri soldi. Ricordati delle grazie che hai ricevuto e soccorri “il forestiero, l’orfano, la vedova, perché il Signore di benedica in ogni lavoro delle tue mani”. Ricordati che sei stato povero e perciò soccorri quelli che sono poveri. Le opere di misericordia corporali sono per tutti un “programma di quaresima” e il digiuno che Dio preferisce: prendersi cura e non girare lo sguardo di fronte alle povertà di oggi».
Poi, il tratto raccomandato dal Vangelo, ossia «la liberazione dal formalismo della relazione con Dio e della pratica della legge che riduce la vita virtuosa a precetti, regole, comandamenti in base ai quali giudicare gli altri».
Infine, la “lezione” paolina: «Quando la memoria è guarita tutto si unifica intorno al Signore, il bene e il male, il quotidiano e lo straordinario, la serietà e la dolcezza, la regola e la libertà. “Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo siamo del Signore”», come scrive l’apostolo.
«Non che scompaiano i problemi, non che tutto sia facile, ma tutto trova senso nel Signore. Chiediamo la grazia che in questi giorni, e in questo anno, la nostra memoria possa guarire per chiedere perdono e vivere con saggezza». Questa la conclusione di monsignor Delpni, di cui vengono ricordati i 50 anni di sacerdozio, il prossimo 7 giugno (in Diocesi si festeggerà in occasione della Solennità del Corpus Domini con modalità che verranno presto rese note) e che, al termine della Messa con i Vescovi e i Vicari episcopali, scende per una preghiera alla tomba di San Paolo.