Nell’ultimo giorno dei lavori il patriarca di Lisbona, card. JOSÉ DA CRUZ POLICARPO, presenta l’esperienza di missione nella sua diocesi. L’evangelizzazione, per il porporato, è“un dialogo tra la Chiesa e la società, sincero e rispettoso, attraverso il quale la Chiesa vuole dare il suo contributo all’umanizzazione della città”. Dialogo che deve tener conto delle “caratteristiche culturali proprie” dell’“homo urbanus”, come il “cambiamento dei simboli”, e la “nuova realtà dell’integrazione comunitaria”, ma anche del “rischio dell’isolamento” e di una “tendenza alla ghettizzazione che sfida la città concepita come fenomeno di convivenza”. Il rinnovamento pastorale, rileva, deve esprimere “la fedeltà alla Chiesa, al suo essere e alla sua missione”. Una fedeltà che si manifesta in alcune linee prioritarie, che a Lisbona hanno dato origine a un “programma triennale di pastorale”. Innanzitutto un “approfondimento della fede”, con “percorsi rinnovati di catechesi e di pastorale della Parola”; poi la “qualità della liturgia”, per “celebrare bene i misteri”, e “imparare a pregare”. La fedeltà alla Chiesa passa anche per la “valorizzazione dei diversi carismi”, ricorda, e in particolare quello femminile, “vera strada per valorizzare il ruolo della donna nella Chiesa”. Infine, occorre “riformare le strutture” ecclesiali per “renderle più vicine alla realtà pastorale” e coltivare nei laici un “nuovo slancio missionario ed evangelizzatore”.
CARO LONTANO, TI SCRIVO
“Caro lontano…”. Comincia così la “Lettera del parroco ai lontani”, nata dalle riflessioni emerse durante la settimana. Il “lontano” non è distante da Dio, ma, scrive il parroco alla sua ‘pecorella smarrita’, “io, la Chiesa siamo lontani da te”. “Non abbiamo mai modo di incontrarci – aggiunge – fuori dalla mischia”, in una contrapposizione dove “voi ci vedete sempre come prepotenti e censori e noi finiamo per lasciarci convincere dagli attacchi spettacolari che alcuni di voi manifestano contro la Chiesa e la religione”. Una situazione aggravata da un mondo della comunicazione che “talvolta non ci permette di presentare la nostra vera faccia e a voi di mostrarci la vostra”. Ma il desiderio di fondo è quello dell’incontro. “Vi vogliamo chiedere perdono e dire che c’interessa la vostra vita, che non siamo desiderosi di convertirvi a noi, ma di proporvi qualche segreto per vivere al meglio l’esistenza e per rendere la vita più felice, più vera, più bella”.
CONCLUSIONE
Vi sono alcune domande di fondo che non si possono celare e che i cristiani devono porsi e porre ai “lontani”. “Perché la parola cristianesimo suona ad alcune orecchie pericolosa per l’Europa? Può la fede in un Dio che muore in croce per amore essere un rischio per i fratelli musulmani? Un Vangelo che dice di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio è pericoloso per la laicità?”. Le ricorda mons. Domenico Sigalini nel suo intervento conclusivo, con il quale delinea le “prosettive pastorali” emerse nei quattro giorni. Come cinquant’anni fa, quando l’arcivescovo Montini indisse la missione popolare a Milano, “anche noi oggi – osserva – ci accostiamo a gente che non crede e spesso siamo giudici severi, icastici”, incapaci di “accogliere dialoghi”, “preoccupati della proposta autosufficiente piuttosto che dell’ascolto arricchente, della presenza piuttosto che della compagnia”. Ma le recenti missioni in alcune capitali europee ci hanno insegnato “a leggere quanta sete di Dio si nasconde dietro le facciate dei palazzi e dentro i consigli di amministrazione”. La città “è contesto privilegiato del nostro riflettere sulla missione”. In essa “la Chiesa deve offrirsi come casa ove abitare, nella quale poter cercare Dio insieme, dove coltivare l’ideale della fraternità, dove trovare in Gesù la fonte della speranza”.