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Percorsi ecclesiali

L’Avvento 2024 nella Chiesa ambrosiana

Sirio 16 - 22 dicembre 2024
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Riflessione

Cristiani felici di essere cristiani

Nella quinta domenica di Avvento la meditazione dell’Arcivescovo ricorda come i pellegrini di speranza non si limitano a elencare disastri e dolori, ma hanno parole da dire da parte di Dio

di monsignor Mario DELPINIArcivescovo di Milano

15 Dicembre 2024
Dettaglio di «San Giovanni Battista che rende testimonianza», Annibale Carracci (1600 circa), MoMa, New York

Ha pianto troppo l’umanità. Troppe lacrime oggi sui volti della gente, dei bambini, degli adulti, degli anziani. Troppo dolore sulla faccia della terra.

Ma i pellegrini di speranza, cioè coloro che rispondono alla chiamata del Signore e si mettono in cammino, non si accontentano di elencare i motivi di tante lacrime. Non sono quelli mai stanchi di raccontare dei disastri inflitti all’umanità e alla terra da troppa cattiveria, da troppa ottusità, da una natura troppo spietata. Non basta registrare disastri e dolori. I pellegrini di speranza hanno una parola da dire da parte di Dio: «Tu non dovrai più piangere» (Is 30,18ss). Vengono infatti da parte di Dio, come il profeta Isaia, per annunciare la consolazione e la salvezza che viene dal Signore.

I pellegrini di speranza cantano il salmo: «Il Signore rimane fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri…» (Sal 145). Sono forse dei sognatori? Sono degli ingenui? Sono presuntuosi che pensano di avere soluzioni e rimedi per tutti i disastri e i dolori?

Piuttosto i pellegrini di speranza sono gente sincera e non parlano di sé e non contano su proprie forze o astuzie: «…non ci perdiamo d’animo. …abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose …annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio… Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore» (2Cor 4,1ss).

Ecco che cosa hanno da dire: Gesù e la sua salvezza. Può succedere che i discepoli di Gesù siano reticenti proprio a proposito di Gesù: hanno molte parole buone da dire, hanno analisi interessanti da confrontare, si propongono come compagni di viaggio di molti con gesti di amicizia e di solidarietà, hanno buoni consigli e parole sapienti. Ma sanno dire di Gesù? Trovano le parole e le occasioni per dare testimonianza a Gesù? Fanno capire di essere discepoli di Gesù, salvati da lui, consolati, ricolmati di gioia per la sua presenza?

I discepoli di speranza esultano per la voce dello sposo, come fanno gli amici dello sposo, come fa Giovanni il precursore che battezzava a Ennòn, vicino a Salim. La gioia per la presenza di Gesù è il modo irrinunciabile per comunicare la fede e per consolare l’umanità in lacrime. La gioia cristiana non è una «gioia qualsiasi», non viene da una qualsiasi parte, ma solo dalla voce dello sposo. Viene cioè dell’ascolto della parola di Gesù, al quale Giovanni ha dato testimonianza. La sua presenza e la sua opera sono la rivelazione che compie le promesse dei profeti, «tu non dovrai più piangere».Ma i cristiani sono contenti di essere cristiani?

«I tuoi occhi vedranno il maestro, i tuoi orecchi sentiranno la parola dietro di te: “Questa è la strada, percorretela”, caso mai andiate a destra o sinistra». Infatti Gesù è la via: se vuoi giungere alla terra promessa, cammina in Gesù, che è la via. Se vuoi essere pellegrino di speranza, segui Gesù, che è la via. Se vuoi raggiungere i fratelli e le sorelle per asciugare le loro lacrime e annunciare la liberazione, lasciati condurre da Gesù che è la via. Ma i cristiani conoscono e percorrono la via di Gesù?

In conclusione per poter dire alla gente: «Tu non dovrai più piangere», noi abbiamo solo questo: annunciare Gesù; irradiare la gioia della presenza di Gesù, lo sposo che si annuncia; percorrere la via che è Gesù, vivere come lui, dimorare in lui.

Il Battista: «Lui deve crescere, io diminuire»

Il Battista ci guarda, con gli occhi spalancati. Si rivolge proprio a noi, oggi, come duemila anni fa si era rivolto con determinazione a quei suoi discepoli che gli chiedevano chiarimenti riguardo a Gesù, senza nascondere la loro sorpresa e perfino un moto di contrarietà per quanto stava succedendo...
Il Precursore cerca la nostra attenzione, con insistenza, con determinazione: sembra quasi di sentirlo, quello sguardo fissato sui nostri volti. Vuole accertarsi che finalmente capiamo, abbandonando dubbi e incertezze: «Non sono io il Cristo, ma sono stato mandato avanti a lui». Lui che viene, lui che Giovanni indica a dito sullo sfondo, lui che è «lo sposo a cui appartiene la sposa».
Che Annibale Carracci sia stato uno dei grandi maestri della pittura nel passaggio tra Cinque e Seicento, celebrato e amato dai contemporanei, lo si riconosce anche da dipinti «minori» come questo: un delizioso olio su rame (splendidamente conservato), di appena 50 centimetri di altezza, oggi al Metropolitan Museum di New York dopo aver fatto parte di diverse collezioni illustri, tra cui quella della famiglia Farnese a Parma e la collezione Orléans a Parigi.
Il Cristo è solo una piccola figura sullo sfondo, eppure è destinato a prendere tutta la scena: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire», come dice ancora il Battista, annunciando un’inversione di prospettiva che è assoluta e definitiva. Per questo il maestro Carracci mette Gesù proprio in cima a quell’altura, circondato da un orizzonte azzurro e infinito: «Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito», proclama Giovanni. Chi ha orecchi per intendere, ascolti..
Luca Frigerio

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