Una Chiesa in cammino, che non teme di riformarsi e leggere i segni dei tempi per una testimonianza che si fa gioia e speranza per gli uomini di oggi. La prima Lettera pastorale dell’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, è già a disposizione per la riflessione di tutti, credenti e persone di buona volontà. Cresce lungo il cammino il suo vigore (Centro ambrosiano, 120 pagine, 4 euro) sarà nelle librerie cattoliche da lunedì 16 luglio.
Delpini sviluppa la sua proposta partendo dalla «consapevolezza di essere la Chiesa in debito verso questo tempo e questo mondo».
La lezione attuale di Montini
Una Lettera pastorale intrisa di ammirazione per il suo predecessore Giovanni Battista Montini, più volte richiamato come esempio da rilanciare e approfondire: «Mentre ci prepariamo alla canonizzazione del beato papa Paolo VI chiedo la sua intercessione perché la sua preghiera ci accompagni. Invito a riprendere la sua testimonianza e a rileggere i suoi testi, così intensi e belli, perché il nostro sguardo su questo tempo sia ispirato dalla sua visione di Milano, del mondo moderno e della missione della Chiesa».
Un coraggioso rinnovamento della Chiesa
Una Chiesa che si riforma sempre, che non si siede sul già sperimentato, ma che vive pienamente il tempo: «Siamo un popolo in cammino. Non ci siamo assestati tra le mura della città che gli ingenui ritengono rassicurante, nella dimora che solo la miopia può ritenere definitiva». Invita a «pensare e praticare con coraggio un inesausto rinnovamento/riforma della Chiesa stessa», perché «la Chiesa non assolutizza mai forme, assetti, strutture e modalità della sua vita». E ancora: «Non ha fondamento storico né giustificazione ragionevole l’espressione “si è sempre fatto così” che si propone talora come argomento per chiedere conferma dell’inerzia e resistere alle provocazioni del Signore che trovano eco nelle sfide presenti».
«Viviamo vigilando nell’attesa – continua Delpini -. Viviamo pellegrini nel deserto. Non siamo i padroni orgogliosi di una proprietà definitiva che qualche volta, eventualmente, accondiscende all’ospitalità; siamo piuttosto un popolo in cammino nella precarietà nomade. Possiamo sopravvivere e continuare la rischiosa traversata perché stringiamo alleanze, invochiamo e offriamo aiuto, desideriamo incontri e speriamo benevolenza. Perciò i pellegrini, persuasi dalla promessa, percorrono le vie faticose e promettenti, si incontrano con altri pellegrini e si forma un’unica carovana: da molte genti, da molte storie, da molte attese e non senza ferite, non senza zavorre».
Per una Chiesa dalle genti
L’Arcivescovo richiama il cammino fin qui svolto in occasione del Sinodo «Chiesa dalle genti», che si concluderà il 3 novembre. Affronta il tema della ricchezza anche ecclesiale che nasce dal dialogo di popoli e persone presenti a Milano e in Diocesi: «La Chiesa si riconosce “dalle genti” non solo perché prende coscienza della mobilità umana, ma, in primo luogo, perché, docile allo Spirito, sperimenta che non si dà cammino del Popolo di Dio verso il monte dell’alleanza piena se non dove, nel camminare insieme verso la medesima mèta, si apprende a camminare gli uni verso gli altri. L’incontro, l’ascolto, la condivisione permettono di valorizzare le differenze, lo specifico di ciascuno, impongono di riconoscere i doni ricevuti dalla tradizione di ciascuno».
Mettendo da parte paure, incomprensioni e muri che oggi sembrano prevalere nel dibattito pubblico: «Non si può immaginare perciò che il popolo in cammino viva di nostalgia e si ammali di risentimento e di rivendicazioni, perché proprio per questo si è deciso il pellegrinaggio, per uscire da una terra straniera e da una condizione di schiavitù». Perciò «ci facciamo compagni di cammino di fratelli e sorelle che incontriamo ogni giorno nella vita; uomini e donne in ricerca, che non si accontentano dell’immediato e della superficie delle cose».
In questo contesto i cristiani si devono porre con la «predisposizione degli animi», che «significa la disponibilità a percorsi di riflessione, preghiera, iniziative e significa rinnovata docilità al vento amico dello Spirito che spinge al largo, cioè all’audacia e alla fortezza, alla pazienza e alla sapienza per delineare i tratti della Chiesa cattolica».
Giovani che non si scoraggiano
Un’attenzione particolare l’Arcivescovo la dedica ai giovani, nell’anno nel quale si celebra il Sinodo dei vescovi voluto da papa Francesco: «È tempo, io credo, di superare quel senso di impotenza e di scoraggiamento, quello smarrimento e quello scetticismo che sembrano paralizzare gli adulti e convincere molti giovani a fare del tempo della loro giovinezza un tempo perso tra aspettative improbabili, risentimenti amari, trasgressioni capricciose, ambizioni aggressive: come se qualcuno avesse derubato una generazione del suo futuro. La complessità dei problemi e le incertezze delle prospettive occupazionali non bastano a scoraggiare i credenti».
La cura della Parola a Messa e nella preghiera
Delpini invita a una cura particolare alla Messa domenicale, in particolare nell’annuncio della Parola, a una spiritualità alimentata dalla preghiera: «Non si può essere ingenui o affidarsi all’emotività nell’accostarsi a quel libro straordinario che è la Sacra Scrittura. È quindi necessario che l’insegnamento catechistico, la predicazione ordinaria, il riferimento alla Scrittura negli incontri di preghiera, nei percorsi di iniziazione cristiana, nei gruppi di ascolto, negli appuntamenti della Scuola della Parola siano guidati con un metodo e condotti con sapienza. Ma la guida del metodo deve essere adeguata agli interlocutori e soprattutto deve aiutare a riconoscere nella Sacra Scrittura quell’offerta di luce, di forza, di gioia, che viene dalla potenza della Parola di Dio».
Dalla Missione di Milano alla nuova evangelizzazione
Dalla preghiera alla testimonianza per la nuova evangelizzazione. Anche su questo Delpini non manca di riprendere la lezione montiniana: «Siamo chiamati a condividere lo spirito con cui ha promosso e vissuto la Missione di Milano del 1957 e le motivazioni che lo hanno convinto a visitare i continenti e a orientare il Concilio Vaticano II al confronto, al dialogo, alla simpatia per il mondo, per una responsabilità di evangelizzazione. Come ci consiglia papa Francesco, rileggere l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi sarà un modo per vivere la canonizzazione non solo come una celebrazione, ma come occasione per rendere ancora fecondo il magistero di Paolo VI».
Una nota critica non manca verso chi frequenta la comunità, ma rimane impermeabile su questioni decisive: «Anche frequentatori assidui degli ambienti parrocchiali sono spesso insensibili alle proposte di partecipazione costruttiva all’impresa comune di rendere più abitabile il mondo e più solidali le relazioni. Il buon vicinato è la pratica possibile a tutti, ma per i discepoli del Signore è una forma di obbedienza al comandamento del Signore e di condivisione di una speranza più alta».
Custodire e rilanciare l’umanesimo cristiano
La presenza dei cristiani nella società va rilanciata, anche perché – sottolinea l’Arcivescovo – «sentiamo la responsabilità di custodire la preziosa eredità dei nostri padri, quell’umanesimo cristiano in cui si integrano la fede, il senso pratico e la speranza, la cura per la famiglia e per la sua serenità, la gioia per ogni vita che nasce, la responsabilità dell’amore, la serietà della parola data, la fierezza per il bene che si compie e insieme un senso del relativo che aborrisce ogni esibizionismo, una inclinazione spontanea alla solidarietà e una prontezza nel soccorrere, la serietà professionale e l’intraprendenza operosa, l’attitudine a lavorare molto e la capacità di fare festa, una radicata fiducia verso il futuro e una vigile capacità di risparmio e programmazione. Avvertiamo tuttavia che l’evoluzione contemporanea sembra condannare all’irrilevanza quell’armonia di valori che forse descriviamo in modo un po’ idealizzato, ma che hanno offerto l’ispirazione a molte iniziative, istituzioni, forme di presenza nella vita sociale e politica».
La dottrina sociale è una benedizione
In ogni caso l’impegno sociale e politico dei cristiani guarda avanti, con uno stile di dialogo e confronto, non urlato: «L’annuncio e la pratica dell’umanesimo cristiano non si traducono in un richiamo a leggi e adempimenti, non si intristiscono nella nostalgia di un’altra cultura e di un’altra società, come se rimpiangessimo un’egemonia, non si intimidiscono di fronte a stili di vita e a slogan troppo gridati e troppo superficiali». Infatti, «la proposta cristiana si offre come una benedizione, come l’indicazione di una possibilità di vita buona che ci convince e che si comunica come invito, che si confronta e contribuisce a definire nel concreto percorsi praticabili, persuasivi con l’intenzione di dare volto a una città dove sia desiderabile vivere. La dottrina sociale della Chiesa, il magistero della Chiesa sulla vita e sulla morte, sull’amore e il matrimonio, non sono una sistematica alternativa ai desideri degli uomini e delle donne, ma sono una benedizione».
Cristiani non timidi, ma profeti in dialogo
In un contesto affollato di populismi e nazionalismi, Delpini richiama a una testimonianza coraggiosa dei cristiani, che «si esprimano e siano capaci di tessere alleanze per proporre, difendere, tradurre in pratiche persuasive quei tratti dell’umanesimo cristiano che contribuiscono alla qualità alta della vita delle comunità, delle famiglie, di ogni uomo e di ogni donna. La presenza di molti cristiani in ogni ambiente di vita non può essere mascherata per timidezza, per un complesso di inferiorità, per la rassegnazione a una separazione inguaribile tra i valori cristiani e la logica intrinseca e indiscutibile della realtà mondana».
I cristiani «sono profeti, hanno proposte, hanno soluzioni, hanno qualche cosa da dire nel dialogo con tutti gli uomini e le donne di buona volontà».
La Commissione per la promozione del bene comune
Per alimentare questa testimonianza l’Arcivescovo annuncia la creazione di una «Commissione per la promozione del bene comune», come «stimolo ed esempio, strumento per attivare questo stile cristiano di presenza dentro una società e una politica in piena trasformazione».
La visita pastorale
Infine Delpini annuncia dall’Avvento 2018 la visita pastorale nelle parrocchie e Comunità pastorali della Diocesi.