«Quante sono le tue opere, Signore» (Sal 104, 24). Attraverso le parole di questo Salmo veniamo introdotti nella quattordicesima Giornata nazionale per la Custodia del Creato, che si concentra quest’anno sulla biodiversità.
Il messaggio preparato dalla Cei interpella lo sguardo di ogni persona che abita su questo pianeta. Anzitutto vi è uno sguardo contemplativo che ritroviamo nell’enciclica Laudato si’. È quello con cui San Francesco osservava il creato e le creature. Egli «era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso» (LS 10). Ma il Santo d’Assisi a sua volta seppe far suo lo stile di Gesù «e della sua relazione tanto concreta e amorevole con il mondo. […] Gli stessi fiori del campo e gli uccelli del cielo che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa» (LS 100).
Però a questo sguardo, che mostra la bellezza di un creato pieno di biodiversità, dove tutto è armonico, se ne aggiunge un secondo che viene giustamente definito «uno sguardo preoccupato». Infatti, la biodiversità è minacciata a causa di attività e forme di sviluppo che non ne riconoscono il valore. La bellezza creata è fragile e chiede una cura costante, ma quello che sta accadendo è un deturpamento di tale ricchezza naturale e sociale.
Il Messaggio di questa Giornata del Creato, chiama per nome alcune delle minacce alla biodiversità: il land grabbing, la deforestazione, il proliferare di monoculture, il consumo di suolo, l’inquinamento che avvelena la terra, le logiche economiche che monopolizzano la ricerca e si propongono di privatizzare alcune tecnoscienze collegate alla salvaguardia della biodiversità.
Sono tutte scelte dell’uomo che modificano l’ecosistema e rendono meno abitabile questa terra. Inoltre la cura dell’ambiente è strettamente correlata con quella delle persone, in particolare dei poveri. Infatti distruggere realtà di grande valore, anche dal punto di vista economico, genera impatti negativi che gravano soprattutto suoi più fragili e poveri.
Che cosa possiamo fare?
Così come accadrà il prossimo ottobre nel Sinodo dedicato all’Amazzonia (regione ricca di biodiversità) anche noi dovremo interrogarci su qual è la nostra Amazzonia. Ci è chiesto di scrutare la terra in cui viviamo per mettere in luce le minacce presenti e tutelare i beni che ci circondano. «Occorre conoscere il patrimonio dei nostri territori, riconoscerne il valore, promuoverne la custodia». Se questo è un compito che chiama in gioco tutti noi, vi è poi una sfida che passa per le istituzioni universitarie e gli enti di ricerca: a questi enti è chiesto di studiare la biodiversità e operare per la conservazione delle specie vegetali e animali in via di estinzione.
Forse più semplicemente si tratta di fare nostra la lezione del monachesimo, che ha saputo rendere fertile la terra senza modificarne l’equilibrio. Sono passati tanti secoli da quando uomini desiderosi di cercare Dio seppero abitare la terra rendendola più bella e piena di frutti capaci di sfamare tante bocche.
Scrivo queste righe con il ricordo fresco di camminate su monti bellissimi, ma segnati profondamente dell’uragano Vaia, che nello scorso fine ottobre ha colpito alcune terre italiane. Il mutamento climatico ci trova tutti fragili, ma non possiamo continuare a far finta di nulla e ostentare uno stile di vita che diviene sempre più insostenibile.
La Giornata del Creato, che s’inserisce nel cosiddetto “Tempo del creato” (dall’1 settembre al 4 ottobre) dovrebbe essere solo un monito a fare nostro lo stile della Laudato si’ e a iniziare non solo a custodire la biodiversità, ma anche diventare promotori di una cultura che attraversa la terra senza calpestarla, dove tutto ciò che è fragile viene guardato con occhio compassionevole e benevolo.
Il futuro passa dalle nostre scelte di ogni giorno.