L’articolo del cardinale Scola (Il Sole 24 Ore del 24 agosto, ndr) muove dal “drammatico sconcerto” provocato in molti di noi da vicende – ciò che avviene in Siria, Iraq, Ucraina, Libia e via dicendo – che testimoniano in modo brutale la negazione del valore della vita umana, della libertà di religione, dei diritti dell’uomo, e pone l’interrogativo: come è possibile rendere fecondo questo sconcerto? Al di là della condanna, senza se e senza ma, di queste violazioni della dignità della persona umana, la strada indicata dal Cardinale è quella di ripensare il rapporto tra unità della cultura, intesa come dimensione propria dell’esistenza umana e quindi comune a tutti gli uomini, e pluralità delle culture. Un problema che la globalizzazione ha reso drammatico e quotidiano.
Credo che si possa riformulare l’indicazione del Cardinale con parole diverse: è necessario riconsiderare la relazione tra universale e particolare. Universale vuole dire principi e valori che sono condivisibili da tutti gli uomini, perché riflettono il fatto che tutti gli uomini sono stati creati ad immagine e somiglianza di Dio: è questo il nocciolo dell’idea di diritto naturale, fondato su una percezione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato che almeno in potenza accomuna tutti gli esseri umani. Particolare significa che questi principi e valori sono applicati e vissuti in modo diverso, a seconda della storia, cultura, tradizione di cui ciascuna persona e ciascun popolo sono parte.
C’è un modo di pensare a questo rapporto che è sbagliato e pericoloso, perché fondato sulla convinzione che i valori e principi universali – la libertà religiosa, la tolleranza, la democrazia e altri ancora – debbano essere applicati ovunque nello stesso modo. Il punto di arrivo di questa utopia illuministica è un mondo uniforme, dove tutti gli uomini sono uguali perché si sono finalmente sbarazzati delle diversità che li dividevano e li contrapponevano. Dove questa utopia si rivela impossibile – per esempio nel disegno di un’unica religione mondiale, condivisa da tutti – si ripiega sulla tolleranza di una diversità soltanto apparente: ciascuno può professare la propria religione, basta che accetti l’idea che tutte le religioni sono uguali e ugualmente buone.
C’è un altro modo di concepire il rapporto tra universale e particolare, quello indicato dal Cardinale, dove invece l’esperienza del particolare costituisce la strada per sperimentare e quindi riconoscere quei valori universali che sono nascosti nella coscienza di ogni uomo. In questa prospettiva la cultura, la religione, le tradizioni di cui ciascuna persona si nutre non sono destinate a scomparire: esse sono le modalità concrete, e quindi diverse, attraverso cui i principi universali prendono corpo nel contesto concreto in cui ciascuna persona e comunità vive. In altre parole, la strada per riconoscere i valori universali è quella di prendere sul serio e vivere con passione l’esperienza particolare – la famiglia, la città, il lavoro – in cui la nostra esistenza si svolge: un’esperienza che si colloca tutta dentro una storia, un patrimonio culturale, una tradizione religiosa che ci precede e con cui ciascuno di noi è chiamato a confrontarsi per farla progredire.
Quindi, c’è qualcosa che tutti possiamo fare qui e subito per rispondere alla domanda iniziale del Cardinale (come rendere fecondo questo sconcerto?): iniziare a costruire un modello di “vivere insieme” dove le diverse esperienze particolari – religiose, culturali, politiche, ecc. – abbiano la possibilità di svilupparsi e contribuire alla costruzione di una società giusta e solidale.