L’attuale impianto normativo nella maggior parte dei Paesi europei è influenzato da esigenze di sicurezza che mirano a restringere sempre di più le possibilità di ingresso legale. Questa limitazione genera un paradossale circolo vizioso per cui politiche restrittive contribuiscono ad aumentare gli ingressi irregolari e di conseguenza l’ostilità degli autoctoni nei confronti dei migranti generando ulteriori politiche restrittive. È possibile interrompere questo circolo vizioso? I corridoi umanitari sono stati la risposta della Chiesa italiana.
Venerdì 5 aprile, dalle 10.30 alle 16.30, nell’aula Magna dell’Università cattolica del Sacro Cuore (largo Gemelli 1, Milano), al convegno «Non per mare. Protezione internazionale e vie legali e sicure di ingresso», sarà presentato il primo rapporto su questa esperienza di fronte a un parterre istituzionale di alto livello: l’arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini, il sindaco Giuseppe Sala, il direttore di Caritas ambrosiana Luciano Gualzetti e il rettore dell’Università cattolica Franco Anelli.
I corridoi umanitari, nati in virtù di un protocollo d’intesa firmato dalla Conferenza episcopale italiana e dal governo italiano con l’Etiopia, hanno permesso dall’estate 2018 a oggi a circa 500 migranti di trovare un rifugio sicuro nelle parrocchie delle 17 diocesi aderenti e di intraprendere percorsi di integrazione grazie ai fondi Cei 8X1000. Anche la Diocesi di Milano ha fatto la sua parte. Con gli ultimi arrivati all’inizio dell’anno sono saliti a 26 gli ospiti giunti attraverso questo canale che permette di offrire protezione in modo sicuro senza costringere chi scappa da violenze e guerre ad affidarsi ai trafficanti.
«Il corridoio umanitario viene offerto a migranti particolarmente vulnerabili. Anche a causa delle violenze che hanno subito – commenta Gualzetti -, molti di loro si trovano in condizioni fisiche incompatibili con gli standard di vita dei campi profughi etiopi dove hanno trovato un primo rifugio. Le nostre comunità li stanno accogliendo con grande generosità, dimostrando quanto radicato sia il sentimento di pietà umana verso la sofferenza di questi nostri fratelli e sorelle».
Tra i primi beneficiari di questa operazione umanitaria ospiti in Diocesi ci sono John e Fikrte, entrambi arrivati a giugno dello scorso anno con il primo gruppo. «In pochi mesi si sono già ben inseriti in parrocchia, stanno imparando l’italiano e domenica scorsa hanno partecipato alla festa della famiglia organizzato dalla comunità – racconta Federica Di Donato della cooperativa Intrecci -. La loro storia colpisce sempre molto. Sono ospitati in un appartamento offerto gratuitamente da un cittadino che quando li ha conosciuti ci ha chiesto se poteva fare anche qualcosa di più».