L’11 agosto 1264 papa Urbano IV estende a tutta la Chiesa la solennità del Corpus Domini, già in vigore a Liegi dal 1247. Così l’anno liturgico viene a includere una festa specificamente dedicata a confermare la fede nell’ineffabile presenza di Cristo nel sacramento eucaristico. Ancora non si parla della processione, dell’esposizione e della benedizione, che verranno introdotte in seguito. Solo nel XIV secolo la festa si diffonde ampiamente, insieme a un progressivo sbilanciamento della devozione, che si sposta dall’atto di ricevere la Comunione all’atto di vedere il pane consacrato, presenza reale di Cristo. Dopo il Concilio di Trento, la collocazione del tabernacolo al centro dell’altare maggiore fa sì che la presenza reale di Cristo nel pane eucaristico diventi l’elemento sul quale si concentra principalmente la devozione dei fedeli, lasciando in ombra la Messa.
Nel XX secolo, la riflessione condotta del movimento liturgico e la riforma a essa ispirata hanno contribuito a ricollocare il tema della presenza reale eucaristica nel suo contesto vitale: la consacrazione del pane e del vino come corpo e sangue di Cristo è momento-chiave di una celebrazione che, nel suo insieme, è il memoriale della Pasqua del Signore nella quale i fedeli vengono coinvolti al fine di diventare essi stessi il corpo di Cristo che è la Chiesa. Ci nutriamo del corpo eucaristico di Cristo per diventare il suo corpo ecclesiale, memoria viva della sua dedizione.
E san Paolo VI, rileggendo un’intuizione presente nella costituzione sulla liturgia del Vaticano II, osservava che «vari sono i modi secondo i quali Cristo è presente nella sua Chiesa». Tra l’altro, «Cristo è presente alla sua Chiesa che prega» e «che esercita le opere di misericordia». A fronte della multiforme presenza di Cristo, quella che si realizza sotto le specie del pane e vino consacrati «si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia perché è anche corporale e sostanziale».
Con queste parole Paolo VI ci suggerisce una duplice «operazione»: dilatare lo sguardo per scorgere le molteplici forme con cui Cristo si fa presente alla sua Chiesa e riconoscerne il legame con la presenza eucaristica, che di tali forme rappresenta il principio ordinatore, quasi la chiave di volta. Attraverso il pane spezzato e il calice condiviso dell’Eucaristia, infatti, ci è offerta la vita donata del Crocifisso risorto che, coinvolgendoci nel suo offrirsi, ci rende memoria viva di quel dono, capaci di riproporlo per gli uomini e le donne di ogni tempo.
Così è possibile anche superare le sterili contrapposizioni che hanno segnato anche il tempo della pandemia. Né i toni rivendicativi di chi protestava: «Ci hanno tolto la Messa! Mettono in pericolo la libertà di culto!»; né l’idea per cui «ciò che importa sono ben altre cose, non certo la Messa» mi sembrano da assecondare. La fantasia messa in campo per promuovere e attuare nelle famiglie momenti celebrativi a esse adeguati, la sollecitudine per non lasciare soli i fratelli più fragili, il sostegno che si è continuato a offrire ai più poveri sono state forme reali di presenza del Signore alla sua Chiesa, anche in assenza di celebrazioni eucaristiche con il popolo. E tali rimangono. Forme che però, nella loro varietà, prendono tutte «forma» da quel corpo dato e da quel sangue versato che il pane e il vino dell’Eucaristia custodiscono in modo insuperabile.
Riconoscere il nesso tra le varie forme di presenza del Signore e la sua presenza eucaristica può essere il compito di questo tempo in cui, pur con tutte le necessarie cautele, possiamo di nuovo celebrare l’Eucaristia con un popolo visibilmente radunato. E se il gesto della processione eucaristica, caratteristico della solennità del Corpus Domini, quest’anno non sarà possibile, un tempo di adorazione dell’Eucaristia può essere il modo più adeguato ad avviare questo discernimento.