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Sirio 23 - 29 settembre 2024
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Convegno

Il beato Schuster, pastore e difensore di tutti nei travagli del secolo scorso

Fu arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954: a 70 anni dalla morte, quella Fondazione Ambrosianeum da lui stesso creata ha ricordato la figura e l'opera del Cardinale in un incontro con monsignor Bressan, vicario per la Cultura, lo storico Giovagnoli, la giornalista Braccini e i presidenti Pizzul e Garzonio

di Letizia MILLUL

28 Settembre 2024
Il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster

«Fu degli uomini rari in qualunque tempo». Così Manzoni, nel celebre capitolo XXII dei suoi “I Promessi Sposi” definiva il cardinal Federigo Borromeo e, senza dubbio, così si può anche dire di un altro grande arcivescovo di Milano, il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster che, a distanza di oltre 3 secoli dal famoso predecessore, fu alla guida della Diocesi dal 1929 al 1954. In tempi di guerra e ricostruzione, negli anni della dittatura fascista e in quelli sempre più neri, in tutti i sensi, della Repubblica Sociale, nei giorni della liberazione e della rinascita democratica del Paese, rimanendo sempre quel “defensor civitatis” capace di non abbandonare mai Milano, anche sotto i tragici bombardamenti dell’agosto 1943, quando 1252 tonnellate tra bombe e spezzoni incendiari seminarono morte e distruzione con il più pesante bombardamento subito da una città italiana.     

E proprio a questa dimensione dell’oggi beato Schuster si è ispirato il convegno con cui la Fondazione Ambrosianeum ha voluto fare memoria della personalità schusteriana a 70 anni dalla sua morte, avvenuta nell’amatissimo Seminario arcivescovile di Venegono Inferiore – da lui tenacemente voluto – il 30 agosto 1954, così come anche sua fu la scelta, insieme ad altre personalità della società civile milanese del dopoguerra, di fondare l’Ambrosianeum, costituitosi ufficialmente nel 1948, come luogo di incontro e di cultura cristiana.

L’attenzione alla Chiesa e la tempra civica

A introdurre i Lavori, moderati dal presidente di Ambrosianeum e giornalista, Fabio Pizzul, il vicario episcopale monsignor Luca Bressan che ha preceduto le relazioni dello storico Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, di Marco Garzonio, psicoanalista, giornalista e presidente emerito della Fondazione e della giornalista Annamaria Braccini.  

«Io c’ero nel 1996 a Roma nella celebrazione per la beatificazione di Schuster, sia alla prima messa nella memoria del beato in quel Seminario che fu il “suo”», ha spiegato Bressan, aggiungendo. «Ha dato forma alla mia vocazione con l’ambiente che ho abitato, appunto il Seminario».

Tre gli aspetti evidenziati. «L’attenzione alla Chiesa, alla liturgia, al clero e alla preghiera molto insistita; la tempra civica, emersa durante la guerra, di questo Arcivescovo che rimane in città e cerca di arginare la rabbia e le distruzioni. Inoltre – lo dico come teologo pastorale, nota ancora il Vicario episcopale – è il primo Cardinale che si confronta con la ricostruzione: Schuster incomincia a intuire che c’è un’evoluzione dei costumi che alla lunga toccherà anche la fede».

Gli anni “romani” del monaco benedettino Schuster

Dal periodo precedente alla sua nomina a Milano si avvia l’intervento di Giovagnoli che definisce il beato «una bella figura, importante dal punto di vista storico, anche lo Schuster romano, come precursore del Vaticano II»

Infatti, se «fin da giovanissimo egli si segnala per un pensiero che ha ispirato la sua attività come monaco, e, poi, il suo ministero pastorale, la sua vocazione «si trasforma subito in riflessione».

Fondamentale in questa costruzione spirituale e monastica, la «liturgia che si collega alla sua vocazione, divenendo il filo conduttore di un pensiero molto singolare sulle origini della cristianità, nello studio, appunto, della liturgia dei primi secoli a Roma che presentava molti elementi comuni con la tradizione orientale ed ebraica». Da qui la radice di un visione (per la verità non molto condivisa nella Chiesa preconciliare) di “simpatia” verso il giudaismo.

La liturgia come fonte della Chiesa

«Tutti questi filoni confluiscono», osserva lo storico, «nel contrastare l’antigiudaismo cristiano. Uno dei suoi cavalli di battaglia diventerà cambiare la preghiera del venerdì santo in cui si parla dei “perfidi giudei” che, peraltro, in latino suona “perfidis” che non significa affatto perfidi».

Tanto che già in un promemoria consegnato il 20 gennaio 1928 al segretario della Congregazione dei Riti, Schuster aveva definito la preghiera per gli ebrei un’usanza «superstiziosa».

Interessante che proprio la presa di posizione su tale questione liturgica, possa considerarsi un simbolo dell’amicizia durata tutta la vita perché basata su una comune sensibilità, con Angelo Roncalli: il futuro papa Giovanni XXIII che avrebbe celebrato i funerali del confratello a Milano e che nel 1959 avrebbe fatto eliminare la preghiera, durante una celebrazione del Venerdì santo, presieduta da lui stesso.     

«Schuster è convinto che la liturgia deve essere la spiritualità della Chiesa, il modo attraverso cui il popolo vive la propria fede. Non si tratta solo di sapere, ma di un metodo del sentire. E questo è un disegno pastorale preciso, con l’intuizione di una Chiesa che non rimane lontana ed estranea. La preoccupazione è quella della trasmissione della fede. L’uomo che prega non è astratto dalla storia in cui vive e sappiamo quanto Schuster, non a caso, amasse la storia», conclude Giovagnoli.

Dopo una breve, ma preziosa testimonianza video di monsignor Angelo Mascheroni, vescovo ausiliare emerito di Milano e decano dei Vescovi di Lombardia, classe 1929, ordinato dal Cardinale nel 1952, Marco Garzonio, ripercorre alcune risonanze personali nate nel rapporto con l’episcopato schusteriano.

«Apolitico ma fortemente politico»

«Sono stato cresimato da Schuster che non delegava e ci teneva ad amministrare personalmente tutti i Sacramenti a noi bambini e ragazzi. Gli piaceva stare in mezzo alla folla: si andava a “vedere” il Cardinale. Ebbi poi un secondo incontro con la sua figura attraverso la Fuci e le prime mie esperienze giornalistiche ne “L’Italia” rifondata da Schuster nel 1954, ricorda Garzonio, richiamando il ruolo e l’importanza del “tramite” Giuseppe Lazzati. «Nel 1996, anno della beatificazione, l’incontro diventa più profondo e intenso (porterà al libro “Schuster, il vescovo della ricostruzione” n.d.r.) perché seguo tutte le fasi del processo di beatificazione per il “Corriere della Sera” e ho, così, l’occasione di rivedere l’impegno civile schusteriano. I veri avversari di Schuster erano la Curia romana e la Dc: fu Scelba ad accusare Schuster di filocomunismo per via del suo sostegno portato, ad esempio, a Nomadelfia. Fu davvero “defensor civitatis” in tutti i sensi e la sua figura poliedrica andrebbe meglio studiata. Nel 1954, inaugurando la sede de “L’Italia”, disse che quello era il giornale di cattolici italiani e non l’organo della Democrazia Cristiana. Fu apolitico, ma fortemente politico con una spiritualità unica», scandisce Garzonio.  

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Milano e Schuster: punti di riferimento

Sull’immagine del Cardinale che emerge dal “Carteggio Schuster”, presente nell’Archivio Storico Diocesano di Milano e ricco di oltre 80.000 lettere, si sofferma Annamaria Braccini che, attraverso l’analisi – seppure molto veloce – delle missive inserite nei faldoni relativi alla “Congregazione Concistoriale” e alla “Corrispondenza con i Vescovi”, delinea il quadro della rilevanza e centralità dell’operato di Schuster, già prima della guerra e poi sempre di più, punto di riferimento per molte altre Diocesi.

Attraverso alcune pagine scelte tratte dalle lettere intercorse tra l’Arcivescovo e tanti parroci ai tempi del dissidio sull’Azione Cattolica del 1931, quando il fascismo portò il primo violento attacco alle sedi dell’Ac, viene infatti definito il senso di un ministero pastorale per nulla ingenuo – come pretendeva qualcuno -, ma chiarissimamente in grado di far fronte con coraggio agli avvenimenti.

Atteggiamento che si confermerà a pieno negli anni del secondo conflitto mondiale, quando innumerevoli sono le testimonianze del “Carteggio” sull’instancabile impegno del Porporato, dalle cui mani passano informazioni riservate della Segreteria di Stato – già bello e proficuo il rapporto con il sostituto Montini -, per essere diffuse ad altri Presuli, richieste d’aiuto di Vescovi per le condizioni delle loro Diocesi, ricerche di dispersi e deportati….

L’omelia del 1938 contro il razzismo

Due, infine, i focus analizzati dalla giornalista. Il “dietro le quinte” della famosa omelia del 13 novembre 1938, prima domenica dell’Avvento ambrosiano, “Un’eresia antiromana e anticristiana” contro le leggi razziali che sarebbero state varate di lì a pochi giorni.Evidente, in questo contesto, che le parole furono pronunciate in Duomo, ma che l’input venisse direttamente da papa Pio XI e l’ira che il pronunciamento scatenò nello stesso Mussolini, con la goffa autodifesa del federale di Milano, Rino Parenti – che trova spazio tra le carte riservate dell’Archivio Diocesano – e il tentativo del Cardinale, che invia segretamente a Roma il suo segretario Ecclesio Terraneo, di salvare dal licenziamento il direttore de “L’Italia” Sante Maggi che aveva pubblicato integralmente l’omelia in prima pagina.  Né al giornale sarà risparmiata la rabbia fascista, a cui risponderà lo stesso Pio XI. Il Santo Padre esortò il Cardinale di Milano «a sostenere con coraggio la dottrina cattolica, poiché non si può cedere su questo punto, né il giornale “L’Italia” può cambiare indirizzo».

Il “Carteggio” Schuster-Gnocchi

Il secondo approfondimento non poteva che essere dedicato, quasi a suggello del Convegno, a uno degli epistolari più belli e commoventi del “Carteggio”: quello tra il Cardinale e don Carlo Gnocchi che dura dal 1929 fino alla morte di Schuster, passando dai primi anni di sacerdozio del “Papà dei mutilatini”, all’assistentato al “Gonzaga”, dai tempi da lui vissuti su diversi fronti come cappellano militare, fino alla ritirata di Russia e al ritorno in patria con già l’idea di fondare la “Pro Juventute” che Gnocchi comunica per primo al «suo Cardinale, padre e pastore».  

Il Cardinale, a pochi mesi dalla sua morte, il 2 marzo 1954, scriverà al prediletto sacerdote: «Caro don Carlo, sta bene, hai emulato don Bosco, don Orione, don Guanella. Ora non allargare di più il tuo edificio spirituale, ma attendi a consolidarlo per l’avvenire, “sive secundum Deum, sive secundum saeculum”, come scrive san Benedetto. Avverti che faranno di tutto per sottrarlo a te e alla Chiesa. Provvedi a norma delle leggi. Non c’è nulla di più pericoloso dello “Stato fa tutto”». Ed è detto tutto: oggi sono beati entrambi.    

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